Cronache russe
Russia, il crack delle infrastrutture di pubblica utilità
Il Paese che fornisce gas a tutto il mondo non ha ancora deciso, in 32 anni, di ricostruire le infrastrutture per i servizi di pubblica utilità dell’era sovietica, ormai obsolete. Con gravi conseguenze per la popolazione con la temperatura a - 30°. Intanto aumentano le proteste e si fa vivo un candidato presidenziale il cui nome, Nadezhdin, significa speranza
L’inizio dell’anno in Russia è stato caratterizzato da una serie di guasti alle infrastrutture dei servizi di pubblica utilità (riscaldamento, acqua calda, elettricità) in quasi tutto il paese. Considerando che le temperature di gennaio sono scese fino a 30° sotto zero, per i cittadini è stata una prova non da poco. La geografia degli incidenti ha toccato città come Podolsk (regione di Mosca), dove migliaia di residenti sono rimasti senza riscaldamento e hanno addirittura organizzato una manifestazione, ma anche città al di fuori della regione di Mosca. Ad Arkhangelsk (Russia nord-occidentale) le persone sono rimaste senza riscaldamento proprio alla vigilia di Capodanno, nella città di Sovetsk (provincia autonoma Khanty-Mansi, Siberia settentrionale), con picchi fino a -40°, si sono verificati tutta una serie di incidenti; a Krasnodar (sud della Russia), in alcuni punti, si sono interrotte contemporaneamente le forniture di acqua, riscaldamento ed elettricità. La stessa cosa è accaduta nella città di Novosibirsk (Siberia occidentale), i guasti hanno toccato gran parte della riva sinistra della città che conta più di un milione di persone, migliaia di persone sono rimaste senza riscaldamento e acqua calda, il termometro è sceso di notte fino a -35°. La gente ha trascorso le notti vestita, con piumini e pellicce, con temperature negli appartamenti intorno ai 10°. I guasti sulla rete pubblica quando si è sotto zero hanno conseguenze pesanti: se l’acqua erogata all’impianto non è calda, l’impianto gela e le tubature scoppiano, aumentando il carico su tutto l’impianto. Anche un solo incidente grave può danneggiare quasi l’intero sistema.
Questa serie di incidenti era stata prevista dagli esperti molto prima che si verificassero gli eventi. Il fatto è che non ci sono stati investimenti su larga scala nei 32 anni successivi al crollo dell’Unione Sovietica. Le infrastrutture dei servizi di pubblica utilità venivano semplicemente riparate, anche più volte all’anno. Le tubature e le condutture risalgono infatti al periodo sovietico, sono state posate negli anni ’60 e ’70, quando l’edilizia urbana era in pieno sviluppo. È chiaro che la riforma di questo settore non doveva implicare solo l’aumento annuale delle tariffe, ma anche la sostituzione dei tubi e di altri elementi infrastrutturali per la fornitura di acqua calda alle case. Né le autorità, regionali o federali, né gli oligarchi che possiedono i monopoli sulle risorse naturali hanno preso iniziativa in tal senso, facendo come se il problema non esistesse.
Inoltre, ad esempio, nella capitale della Siberia, Novosibirsk, tutte le reti comunali di riscaldamento e fornitura di acqua calda sono di proprietà della “Siberian Generating Company” dell’oligarca Andrej Melnichenko, che è sotto sanzioni UE dal marzo 2022: vi è stata forte opposizione agli investitori che stanno costruendo nuove case e complessi residenziali installando caldaie a gas autonome, che ovviamente permetterebbero l’indipendenza dalle sopracitate infrastrutture.
L’installazione di impianti a gas in un paese produttore di gas ha purtroppo anche un’altra caratteristica: la posa dei tubi del gas e l’installazione di apparecchiature per il riscaldamento dell’acqua devono essere economicamente giustificate, deve cioè esserci un numero sufficientemente elevato di consumatori e la loro situazione finanziaria deve essere sufficiente per consentire l’acquisto e la manutenzione delle apparecchiature. Ricordo un caso in cui mi sono imbattuto durante la mia attività professionale in una delle piccole città della regione di Novosibirsk. I residenti di questa città, quasi tutti, lavoravano nel giacimento di gas situato nella zona. Ma non c’era gas in questa città, poiché per il monopolista di stato Gazprom era economicamente non redditizio investire risorse nella fornitura di gas: in quella città vivevano solo cinquemila persone.
Così un enorme Paese che fornisce gas a tutto il mondo non ha ancora deciso, in 32 anni, di ricostruire le infrastrutture per i servizi di pubblica utilità dell’era sovietica, ormai obsolete, creando opportunità per il settore energetico, per una transizione verso fonti autonome anche per la fornitura di acqua calda. I fondi si trovano però se si tratta di condurre operazioni militari in Ucraina.
Montano le proteste
L’inizio dell’anno è stato anche l’inizio di proteste su vasta scala nella Repubblica del Bashkortostan; migliaia di persone hanno partecipato a manifestazioni in difesa dell’ambientalista Fail Alchynov, condannato a 4 anni di carcere per dichiarazioni imprudenti su questioni nazionali. Alchynov è noto per la sua forte posizione in difesa della conservazione del patrimonio naturale locale, il Monte Kushtau. Quando vi sono stati avviati lavori per l’estrazione del calcare, che avrebbero potuto causare danni irreparabili alla natura di questa popolare meta di vacanze tra gli abitanti della zona, Alchynov è stato messo a tacere.
Anche la voce del movimento delle madri e delle mogli dei mobilitati per la guerra con l’Ucraina continua a farsi sentire: Maria Andreeva, insieme ad altre donne, ha incontrato Boris Nadezhdin, candidato alle presidenziali russe anche se non ancora registrato dalla Commissione Elettorale Centrale, nominato dal partito senza rappresentanza parlamentare “Forza Civile”. È riuscito a trasformare la campagna di raccolta firme (ha superato le 100mila) per la propria candidatura in, di fatto, un’azione di silenziosa disobbedienza civile. La gente fa enormi code per le strade per firmare per Boris Nadezhdin (nella foto), nonostante in alcune regioni, ad esempio in Yakutia, le temperature scendano fino a -43°.
Il suo incontro con queste donne è stato commovente, Boris Nadezhdin lo racconta così: “Queste donne coraggiose stanno cercando di riportare indietro i loro uomini dal fronte. Nonostante il rifiuto delle autorità e, più recentemente, le accuse ridicole che sono state loro mosse, continuano a lottare per la vita e la salute dei loro cari. Hanno raccontato le loro storie. Era impossibile ascoltarle senza lacrime e senza rabbia. La maggior parte delle famiglie non riesce a conoscere la verità né sullo stato di salute dei propri uomini né su ciò che sta accadendo loro in generale. I figli crescono senza padri. Al ritorno, molti avranno bisogno di una seria riabilitazione dopo la SVO. Ricordo la generazione tornata dall’Afghanistan e dalla Cecenia, anch’essa con tragici disturbi. I nostri uomini dovrebbero lavorare e vivere pacificamente in Russia, prendersi cura delle loro famiglie, e le nostre donne non dovrebbero aver paura di perdere i loro mariti e figli per sempre”.
L’inizio dell’anno è stato segnato anche da nuove pene detentive. A Maxim Asriyan, un infermiere di San Pietroburgo, per aver tentato di appiccare il fuoco a un ufficio di registrazione e arruolamento militare (un centro di mobilitazione), 2,5 anni di prigione e a Ruslan Zinin, per aver tentato di uccidere un commissario militare (di lui abbiamo scritto nel numero di giugno di Vita), 19 anni di carcere.
Nonostante la repressione, la società civile russa è ancora viva, perché c’è sempre speranza, come suggerisce anche il cognome del già citato candidato presidenziale Boris Nadezhdin (speranza in russo si dice nadezhda).
Questa speranza non è infondata, è speranza in ciascuno di noi, nell’uomo, che riesce in situazioni disperate a trovare soluzioni creative e inaspettate, che sa resistere alla violenza, in silenzio stringendo i denti, sperando che il proprio piccolo gesto possa cambiare qualcosa. A tempo debito.
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