Africa

Ruanda, un Giardino dei Giusti per non dimenticare il genocidio

Il 17 luglio sarà inaugurato il primo Giardino dei Giusti dell’Africa sub-sahariana, frutto dell'incontro tra la Fondazione Gariwo, Bene Rwanda Onlus e il partner locale Sevota, l’associazione fondata da Godelieve Mukasarasi, una delle 500mila donne ruandesi vittime di stupro di guerra. Sevota è una realtà che promuove la riconciliazione tra Hutu e Tutsi e assiste le sopravvissute alla violenza sessuale durante il genocidio

di Anna Spena

Cento giorni: dal 6 aprile al 16 luglio 1994. Sono passati 30 anni e quello del genocidio dei Tutsi in Ruanda rimane una ferita aperta, ma in molti – anche le stesse vittime – stanno cercando di essere tessitori di pace e memoria. I Tutsi, oggetto di una campagna di odio iniziata nel 1992, furono massacrati: oltre un milione di donne, uomini e bambini furono brutalmente assassinati.

Domani 27 luglio nascerà ufficialmente il Giardino dei Giusti del Ruanda, il primo nell’Africa sub-sahariana. «Il Giardino», si legge nella nota dell’associazione Gariwo, acronimo di Gardens of the Righteous Worldwide, «sarà la memoria viva di quelle donne e quegli uomini che hanno messo a rischio la propria vita per salvare persone durante il genocidio del 1994, esattamente trent’anni fa, proteggendo persone Tutsi e Hutu moderati dalle violenze perpetrate da criminali appartenenti alla maggioranza Hutu. Questi individui, spesso a grande rischio personale, hanno nascosto persone nelle loro case, fornito rifugio e aiuti, e talvolta negoziato con i perpetratori per la vita dei perseguitati».

L’associazione Gariwo è nata a Milano nel 1999 con l’obiettivo di far conoscere i Giusti ed educare alla responsabilità personale: «Pensiamo», scrivono, «che la memoria del bene sia un potente strumento educativo e serva a prevenire genocidi e crimini contro l’Umanità. Per questo creiamo Giardini dei Giusti in tutto il mondo e diffondiamo il messaggio della responsabilità individuale».

Il progetto del Giardino dei Giusti in Ruanda nasce dall’incontro tra la Fondazione Gariwo, Bene Rwanda Onlus e il partner locale Sevota – Solidarity for the Development of Widows and Orphans to Promote Self-Sufficiency and Livelihoods. L’idea della creazione del Giardino ha preso vita con Francoise Kankindi, presidentessa di Bene-Rwanda e Godelieve Mukasarasi, onorata come Giusta al Giardino di tutto il mondo di Milano nel 2022 e fondatrice dell’associazione Sevota. 

Godelieve Mukasarasi è una delle 500mila donne ruandesi vittime di uno stupro di guerra. È nata nel 1956 a Gitarama, nel distretto di Muhanga, dove per 25 anni ha lavorato come assistente sociale. Dopo aver sposato Emmanuel Rudasingwa, si era trasferita nel villaggio di Taba, «che fu», come ricorda l’associazione Gariwo, «lo scenario di alcuni dei più cruenti massacri commessi dagli Hutu verso i Tutsi, in particolare dalla milizia paramilitare Interahamwe che stuprò e uccise centinaia di Tutsi negli uffici governativi. Godeliève era Hutu, ma venne comunque perseguitata in quanto moglie e madre di tutsi. Purtroppo, la figlia di Godeliève non riuscì a sfuggire alla violenza e fu vittima di uno stupro. Il sindaco di Taba era Jean-Paul Akayesu, un maestro e ispettore scolastico responsabile della gestione della polizia comunale. Akayesu non solo non impedì la furia delle milizie ma partecipò attivamente, come supervisore, a diverse esecuzioni. Inoltre compilò una lista che consegnò ai cittadini di etnia Hutu affinché andassero di casa in casa alla ricerca dei concittadini Tutsi».

«Dopo il genocidio Mukasarasi fondò l’associazione Sevota», si legge sul sito di Gariwo, «lei e il marito erano convinti che la riconciliazione dovesse passare attraverso il riconoscimento dei crimini, e si impegnarono fin da subito nel cercare giustizia per i sopravvissuti. Ma il Paese era ancora molto instabile. Nel 1996 accettarono di testimoniare davanti al Tribunale penale internazionale per il Ruanda, nel caso inaugurale del processo, che si sarebbe tenuto proprio contro il loro sindaco Akayesu. Poco prima di apparire davanti alla corte, sua figlia e suo marito Emmanuel vennero assassinati da una milizia armata. Mukasarasi testimoniò lo stesso e il 2 ottobre 1998 Akayesu venne condannato all’ergastolo. Il tribunale lo ritenne colpevole di nove reati tra cui genocidio e istigazione diretta e pubblica a commettere genocidio. Si trattò di una sentenza storica, perché fu la prima volta che venne applicata la Convenzione del 1948 per la prevenzione e la punizione del crimine di genocidio».

Godeliève sul processo aveva dichiarato: «Il fatto che lo stupro venne preso in considerazione per condannare Akayesu ha avuto un impatto mondiale sulla questione della violenza sessuale sulle donne. Nonostante io sia una donna di campagna con pochi mezzi, ho aiutato a denunciare le ingiustizie e a lottare per l’umanità».

Mukasarasi sarà presente all’inaugurazione del Giardino in Ruanda, che ha un altissimo valore simbolico. «La scelta di unire attività incentrate sull’educazione alla memoria», spiegano dalla Fondazione Gariwo, «e le attività quotidiane di Sevota a favore delle vedove, donne stuprate e orfani, crea una stretta connessione tra le storie di coraggio e di rispetto della dignità umana dei Giusti e la forza delle testimonianze delle donne di Sevota che durante il processo di Arusha hanno contribuito alle condanne per stupro, considerato una componente della prima condanna per genocidio. Inoltre, la creazione di un Giardino dei Giusti con sede a Sevota, nel distretto di Kamonyi, riconosce il ruolo fondamentale delle donne ruandesi nell’opera di riconciliazione e costruzione della pace dopo aver testimoniato presso le corti penali internazionali». Il simbolo del Giardino dei Giusti dell’Umanità di Kamonyi sarà l'”albero rosso” umurinzi, una pianta al centro della cultura ruandese il cui nome significa guardiano della vita. 

«Oggi i gesti come questo», ha spiegato Mukasarasi alla vigilia dell’inaugurazione, «possono essere modelli di protezione, ma anche di pace. Il Giardino permetterà alle donne che sono state vittime di quel genocidio e delle violenze di potersi incontrare e di rifiorire. Permetterà anche a tutti quelli che verranno e ai più giovani di conoscere la realtà di quello che è accaduto durante quel genocidio. Ma soprattutto di sapere cosa possiamo fare, in quanto essere umani, affinché il mondo diventi un luogo giusto, dove a contare è la protezione reciproca».

«Riconciliazione e giustizia», continua Mukasarasi, «vanno insieme. Dobbiamo tutti sentirci ruandesi e armonizzare i nostri modi di vivere diversi. C’è stata una mancanza del riconoscimento dei diritti umani durante il genocidio. Ma oggi dobbiamo guardare al modo di vivere giusto, all’unione, all’unità. Solo cosi ogni persona potrà tendere allo sviluppo, personale, ma anche economico e sociale».

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.