Formazione

Ruanda: dieci anni dal genocidio

1994-2004 dieci anni dal genocidio in Ruanda. Il drammatico diario di Fabio Pipinato, cooperante in Ruanda durante i giorni del genocidio. E la cronaca del nostro inviato in questi giorni in Ruanda

di Fabio Pipinato

In anteprima lo sconvolgente diario di Fabio Pipinato pubblicato integralmente sul numero di Vita in edicola da venerdì

Ruanda, 7 aprile 1994. Ore 6 del mattino. Sveglia. Esco dalla porta di casa. Silenzio. Non si muove foglia. I primi raggi, deboli, illuminano l?acqua del lago. Ferma. Non vi sono pescatori, oggi. Le canne di papiro non ondeggiano. Non cantano più gli uccelli. Mi reco alla fonte. Sarà o no una buona giornata?

Tutto regolare. L?impianto funziona a meraviglia. Esce acqua in abbondanza. Buona nuova. I rifugiati burundesi, siti nei vicini campi dall?ottobre dell?anno precedente, avranno anche oggi una razione potabile. Carico le cisterne dei camion di color bluastro, lo stesso colore delle tende di plastica che l?Alto commissariato per i rifugiati ha da poco distribuito per ricoprire dalla pioggia le capanne fatte intrecciando poca ramaglia. La stessa plastica la ritrovi, in abbondanza, al mercato nero. Venduta per sopravvivere un giorno in più.

Vorrei farmi aiutare per il carico d?acqua dagli zamu (guardiani notturni) che stanno confabulando tra loro e non danno retta alla mia richiesta d?aiuto. Li saluto nel modo consueto che da anni si fa in Ruanda e Burundi: “Muramuzeu!”, che significa: “Siete sopravvissuti alla notte?”.

Non rispondono. Mi trovo in bilico sopra il cassone del camion con una pompa che spara a pressione incontrollata e loro stanno ancora lì, impalati, con una radiolina gracchiante. Alzo la voce. Si avvicinano. Mi guarda Joseph, il più anziano, e con un francese impastato di kinyaruanda mi dice: “Non è bene andare dai profughi, oggi!”. Rimango impietrito. È successo qualcosa di grave. La radiolina trasmette musica classica e proclami in lingua locale che non comprendo.

La piramide sta per crollare
M?era capitato due mesi prima di disattendere i loro consigli e mi sono trovato nei guai. Dicevano: “Non è bene andare a Kigali, oggi!”, e io, presa l?auto, mi ero infilato, come un pivello, dentro una confusione tale che sembrava di stare a Sarajevo nei giorni dell?assedio. Allora come oggi, la radio trasmetteva musica classica e proclami in kinyaruanda.

Ci son voluti tre giorni di paura, un referente della Focsiv, Guido Acquaroli, incosciente, e i caschi blu belgi per uscire da quel girone. Con questi ultimi ho condiviso la fuga dalle granate e gli spaghetti stracotti immersi nei sughi in scatola. In seguito sono stati ?promossi? guardie del corpo del primo ministro, donna e politico formidabile. Dopo il 7 aprile sono stati passati tutti all?arma bianca, uno a uno. Dall?ultimo casco blu al primo ministro. Trovatisi in pericolo e circondati dai genocidari, avevano implorato clemenza ai loro assassini e, nel contempo, chiesto via radio, a New York, il permesso di legittima difesa. Negato. Avevano la colpa d?esser belgi e su di loro cadeva l?accusa, da parte della cricca mafiosa al potere, d?aver ucciso il presidente del Ruanda. Con loro è morta anche l?autorità sovranazionale. Ma non è servito a nulla. I governi hanno permesso, un anno dopo, la stessa ecatombe. A Srebrenica, in Bosnia, nel cuore dell?Europa. Delegittimate le Nazioni Unite. Uccisi i popoli.

“Cos?è successo?”, chiedo agli zamu. “Ieri sera hanno ucciso il presidente Habyarimana”. Sento che sta per crollare la piramide. Chiudo l?acqua. Mi siedo.

[…]

  • Il testo integrale fa parte di VITADossier, Speciale Ruanda, nel numero di Vita non profit in edicola. E’ consultabile ai soli abbonati.
  • Corrispondenza del nostro inviato Joshua Massarenti in Ruanda in questi giorni “Rwanda: Inizio delle Commemorazioni ufficiali sul genocidio del 1994“;
  • Immagine dell’articolo di Livio Senigalliesi;
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