Salute
RU486. Un’inchiesta dimostra il fai-da-te
“Tempi" ha telefonato agli ospedali che hanno sperimentato la RU486: nessuno prevede il ricovero della donna, in violazione della legge 194
A fine luglio l’Aifa ha dato il via libera alla commercializzazione, in Italia, della RU486, la pillola che induce l’aborto farmacologico. Da allora si è accesa la polemica, nonostante l’Aifa abbia precisato che l’aborto farmacologico, come quello chirurgico, deve essere regolamentato rigidamente dalla legge 194 e quindi deve avvenire in ospedale.
Il settimanale cattolico Tempi dedica la copertina del numero in edicola domani proprio a questo tema. La giornalista Benedetta Frigerio, così come farebbe una donna incinta alle prime settimane di gravidanza, ha chiesto informazioni telefoniche a medici, personale ospedaliero e consultori delle cinque regioni che negli anni scorsi sono state autorizzate a utilizzare in via sperimentale la Ru486 (Piemonte, Liguria, Toscana, Emilia Romagna e Puglia).
Tutti hanno risposto che la donna che abortisce non dovrà fermarsi in ospedale. La riposta più cauta è stata un “Sì, in teoria dovrebbe fermarsi fino all’espulsione del feto, ma non si preoccupi: basta mettere una firma sulla cartella clinica e se ne può andare senza problemi”. Fino alla risposta che la giornalista dice di aver avuto da Carpi: “No, non viene ricoverato nessuno. Non è un alloggio. O c’è una necessità medica o altrimenti non è un albergo, e poi non è fattibile, non avremmo posti letto a sufficienza” e da Guastalla: “Mi scusi, il senso della Ru486 è questo: prendere la pillola per abortire a casa”.
Gasparri ha commentato l’inchiesta in una nota: “C’e’ quindi gia’ oggi in Italia la realta’ della banalizzazione dell’aborto trasformato in una pratica domestica in base a questa sperimentazione in corso. E’ quindi quanto piu’ necessaria l’indagine conoscitiva che il Senato sicuramente svolgera’ gia’ nel mese di settembre in vista della definizione delle linee guida riguardanti la pillola Ru486″.
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