Salute

RU486. L’Aifa dà il via libera, ma a certe condizioni

Ecco il comunicato con cui l'Aifa, nella notte, ha illustrato la decisione del suo CdA. La donna resta in ospedale fino all'espulsione del feto avvenuta

di Redazione

«Il Consiglio di Amministrazione dell’AIFA ha deliberato l’autorizzazione all’immissione in commercio del farmaco mifepristone (Mifegyne).

La decisione assunta conclude anche in Italia quell’iter registrativo di Mutuo Riconoscimento seguito dagli altri Paesi europei in cui il farmaco è già in commercio, interrompendone l’uso off-label.

Il Consiglio di Amministrazione ha ritenuto di dover precisare, a garanzia e a tutela della salute della donna, che l’utilizzo del farmaco è subordinato al rigoroso rispetto della legge per l’interruzione volontaria della gravidanza (L. 194/78). In particolare deve essere garantito il ricovero in una struttura sanitaria, così come previsto dall’art. 8 della Legge n.194, dal momento dell’assunzione del farmaco sino alla certezza dell’avvenuta interruzione della gravidanza escludendo la possibilità che si verifichino successivi effetti teratogeni. La stessa legge n.194  prevede inoltre una stretta sorveglianza da parte del personale sanitario cui è demandata  la corretta informazione sul trattamento, sui farmaci da associare, sulle metodiche alternative disponibili e sui possibili rischi, nonché l’attento monitoraggio del percorso abortivo onde ridurre al minimo le reazioni avverse (emorragie, infezioni ed eventi fatali).

Ulteriori valutazioni sulla sicurezza del farmaco hanno indotto il CdA a limitare  l’utilizzo del farmaco entro la settima settimana di gestazione anziché la nona come invece avviene in gran parte d’Europa. Tra la settima e la nona settimana, infatti, si registra il maggior numero di eventi avversi e il maggior ricorso all’integrazione con la metodica chirurgica».

Eugenia Roccella e Assuntina Morresi, nel libro La favola dell’aborto facile (Franco Anegli, 2006) avevano documentato, a proposito del ricovero dentro la struttura sanitaria previsto dalla legge 194, quanto segue. I dati relativi alla sperimentazione di Torino e quelli dei sette ospedali d’Italia che già importano il farmaco con l’autorizzazione del Ministero, il 70% delle donne non resta in ospedale ad aspettare l’espulsione dell’embrione, ma firma per uscire prima. Con gravi rischi per la donna, lasciata sola a valutare il decorso dell’aborto e la possibilità che l’espulsione avvenga non solo fuori dall’ospedale, ma addirittura fuori da casa. D’altra parte l’espulsione dell’embrione avviene nell’80% dei casi dopo tre giorni dall’assunzione della prima pillola e restare in ospedale così a lungo è un costo importante per le strutture ma anche un tormento per le donne, sistemate magari nella stessa stanza di una puerpera. In Francia il 20% delle donne che abortiscono con aborto chimico non torna in ospedale per i controlli fissati.

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