Welfare
RSA: tenere gli anziani dentro e i familiari fuori non è più sostenibile
«Riaprire è più che un desiderio legittimo, è una necessità. Non è pensabile che ancora si tengano gli anziani dentro e i familiari fuori: non è più umano e non è nemmeno sostenibile per gli enti gestori», dice Fabrizio Giunco, direttore del Dipartimento cronicità della Fondazione Don Carlo Gnocchi. «Ma riaprire significa anche responsabilizzarsi a vicenda. E avere alert tempestivi sulla situazione di ciascun territorio»
Messa così – nelle RSA ci sono ospiti o prigionieri? – la domanda non è quella giusta. Perché tutti desiderano ridare la possibilità agli anziani ospiti delle RSA di incontrare i propri cari, «al di là di plexiglas e di teli di plastica che nessuno sopporta più». Tutti sanno che è ben più di un legittimo e comprensibile desiderio: «Riaprire è una necessità. Non è pensabile che ancora per un tempo x – quanto non c’è modo di saperlo – si tengano gli anziani dentro e i familiari fuori: non è più umano e non è nemmeno sostenibile per gli enti gestori, non siamo un parente surrogato, per quanto il nostro personale da un anno a questa parte abbia fatto di tutto per stare vicino ai nostri ospiti». Quindi sì alle nuove indicazioni, per capire soprattutto come comportarsi con i familiari vaccinati e rispetto alla frequenza delle visite: «ma anche se il decreto arrivasse domani, non si pensi che domenica si potrà entrare: ci vogliono dei tempi per leggere le norme e trasformarle in modelli organizzativi. Anche se è vero che non si parte da zero».
A parlare così è Fabrizio Giunco, direttore del Dipartimento cronicità della Fondazione Don Carlo Gnocchi. «Le strutture hanno già da tempo interpretato in maniera più ampia possibile il decreto dell’8 marzo 2020, tuttora operativo. Le strutture hanno già riaperto da tempo alle visite, il punto ora è normare il passaggio a qualcosa meno “contingentato”, perché le visite avvengono, si può già entrare, da ben prima delle vaccinazioni. E ricordiamo che nella seconda e nella terza ondata le RSA sono uscite pressoché indenni, mentre fuori c’era il disastro, grazie a queste attenzioni», dice il dottor Giunco. La novità ora sono le vaccinazioni. Vaccinati ospiti e operatori, con l’avvio massiccio delle vaccinazioni dei familiari, è tempo di pensare che tra vaccinati si possano abbassare le precauzioni e tornare finalmente al contatto diretto, all’abbraccio. «È un bisogno che dobbiamo assolvere. È ovvio che siamo tutti consapevoli che stiamo parlando di entrare in strutture con persone fragili, che se colpite dal virus hanno un alto rischio di morte… Per questo riaprire significa responsabilizzarsi a vicenda ed è probabile che l’avvio di questa “terza fase” delle visite preveda un patto di reciproca responsabilità. Inutile negare che nelle RSA il virus entra da fuori, dagli operatori o dai visitatori: chi entra deve essere molto consapevole che nella sua vita personale deve avere una vita molto prudente. Quanto al green pass, è ovvio che un tampone negativo non è la stessa cosa che aver completato il ciclo vaccinale».
Un elemento fondamentale, per il dottor Giunco, è che aprire di più si può solo se e fino a che il rischio territoriale lo permette. «Che non è una questione di regione né di provincia: deve essere una valutazione sulla singola città, anzi sul singolo quartiere. Deve esserci un alert per i responsabili medici, non possiamo permetterci di avere un Rt che sale e saperlo solo dopo due settimane, perché in quelle due settimane nascono i problemi. Occorre sapere per sospendere immediatamente le visite, ma per poco tempo. L’alternativa è che non ti fidi più di nessuno e lavori sempre tenendo alto il livello di protezione, per cui chiunque venga dall’esterno è un considerato un rischio. Lavorare in un modello più sicuro di valutazione del rischio dell’intorno alla struttura, invece, permette di dare risposte tempestive».
Foto di copertina Daiano Cristini/Sintesi
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