Rotta Balcanica
Il confine tra Bulgaria e Turchia che fa paura sia ai migranti che ai volontari
Sofia opera sistematici pushbacks, impedendo ai migranti di entrare nel Paese e fare domanda d’asilo. A dicembre, la morte per congelamento di tre ragazzini ha riacceso le luci sul problema, ma le violenze riguardano anche gli operatori umanitari: «Nel 2024 sono state arrestate sette squadre di volontari, per un totale di 25 persone. Sono fermi di 24 ore, ma alcune volte sono stati molto pesanti, nel senso che ci hanno ammanettato e ci hanno spogliato nudi», spiega Giuseppe Pederzolli del Collettivo rotte balcaniche
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Una rete metallica alta tre metri e mezzo, con porte basculanti ogni duecento metri. Da una parte e dall’altra due polizie di frontiera, quella turca e quella bulgara, che giocano a «ping pong» con le vite di chi cerca di intraprendere la rotta balcanica per raggiungere l’Europa. «La pratica è la stessa di tutte le polizie di frontiera», commenta Giuseppe Pederzolli, membro del Collettivo rotte balcaniche (Crb), che da aprile 2023 è attivo in Bulgaria per assistere i migranti. «Pestano le persone, le spogliano di tutti i beni, le respingono».
Se prima, nel viaggio di chi cerca di entrare in Europa via terra, il punto caldo era al confine tra Bosnia-Erzegovina e Croazia, oggi sembra essersi spostato proprio tra Bulgaria e Turchia, quasi mille chilometri più a est. «Ci sono delle considerazioni geopolitiche che spiegano questo fatto, nel senso che quella è la prima frontiera tra l’Europa e, diciamo così, il Medio Oriente», spiega Pederzolli. Secondo Crb, proprio l’autorità che deriva da questa condizione di «porta di accesso» avrebbe spinto Sofia ad aumentare i respingimenti, nella logica di uno scambio con l’Unione europea: io faccio entrare meno migranti e tu mi ammetti nell’area Schengen, obiettivo in effetti raggiunto in due tappe nel 2024. «Secondo le stime ufficiali, l’anno scorso gli attraversamenti della frontiera sono stati circa 70mila, ma le persone che hanno transitato dai campi bulgari sono state più o meno 10.500, quindi ci sono stati tantissimi respingimenti», continua Pederzolli. «Insomma, comunicando i due dati è la stessa polizia di frontiera bulgara ad ammettere, indirettamente, questi respingimenti».
L’attenzione sul problema del confine bulgaro si è riaccesa a dicembre scorso, quando sono stati rinvenuti i cadaveri di tre ragazzini morti assiderati. «Ci hanno impedito di soccorrerli», denuncia l’attivista. Si tratta di una pratica comune, spiega. Il Crb, ricevuta tramite un numero di telefono la segnalazione di richiesta di aiuto, allerta i team presenti sul campo, che si attivano per raggiungere la persona (o il gruppo di persone) e prestano i primi soccorsi. «Se le condizioni lo consentono, evitiamo di chiamare subito il 112». Contattare il numero di emergenza europeo, infatti, significa segnalare alle autorità bulgare la presenza del migrante in questione. Più veloce, la polizia arriva prima dei volontari e può quindi procedere al respingimento. «Ormai i nostri database sono pieni di casi di persone che non abbiamo trovato durante i nostri soccorsi e con cui poi siamo riusciti a rimetterci in contatto e che erano stati respinti in Turchia». Il Collettivo, dunque, cerca di evitare che questo avvenga, a proprio rischio e pericolo: «Le autorità bulgare non ci vogliono vedere, perché abbiamo impedito centinaia di respingimenti», prosegue Pederzolli. Non a caso, «nel 2024 sono state arrestate sette squadre, per un totale di 25 persone. Sono fermi di 24 ore, ma alcune volte sono stati molto pesanti, nel senso che ci hanno ammanettato e ci hanno spogliato nudi. Ci hanno anche dato delle multe, alle quali abbiamo però fatto ricorso abbiamo vinto. Lo stesso è accaduto anche rispetto a una delle detenzioni, che è stata riconosciuta illegale». Questo clima, però, spinge a mettere in discussione il proprio approccio: «Per tutti noi non è scontato passare 24 ore di fermo insieme a gente poco raccomandabile, quindi stiamo riflettendo sulla sostenibilità di questi soccorsi».
Le violenze contro i migranti e l’ostruzionismo ai soccorritori volontari avvengono, dice Pederzolli, sotto gli occhi dell’Unione europea. Sul territorio è presente Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera: «dovrebbe essere lì a garantire gli aspetti fondamentali, come il principio di non respingimento e dare la possibilità alle persone di fare la domanda d’asilo, e invece…Frontex sa benissimo cosa succede, anzi ci sono stati dei casi di soccorso in cui il compito dei loro agenti è stato di bloccarci mentre la polizia bulgara andava a respingere i migranti».
Un recente report pubblicato il 17 febbraio e compilato da diverse ong e centri studi – 11.11.11 (Belgio), Hungarian Helsinki committee (Ungheria), We are monitoring association (Polonia), Center for peace studies (Croazia), Lebanese center for human rights (Libano), Sienos grupė (Lituania), Centre for legal aid – Voice in Bulgaria (Bulgaria), Foundation Mission wings (Bulgaria) e I want to help refugees (Lettonia) – scagionerebbe Frontex. Viene «tenuta lontana», si legge, dalle aree in cui avvengono i respingimenti. Una narrazione che cozza con il racconto del Collettivo.
La stessa Frontex, a gennaio, ha diffuso controversi dati sulla rotta balcanica: -78% di arrivi nel 2024, 21.520 contro gli oltre 98mila dell’anno prima. Tuttavia, confrontando questi con altri numeri, sembrerebbe che Frontex abbia gonfiato i suoi dati: «Una diminuzione degli arrivi c’è sicuramente stata, ma non possiamo parlare di ‘crollo’. La polizia di frontiera slovena, per esempio, ha registrato 46mila attraversamenti illegali nel 2024, con un calo del 14% rispetto al 2023 che non è paragonabile a quello riportato dall’Agenzia. Anche a Trieste abbiamo registrato una diminuzione degli arrivi pari al 13%», il commento di spiega Gianfranco Schiavone, coordinatore del Consorzio italiano di solidarietà, associazione parte della coalizione Balkan regional network che da oltre vent’anni svolge un’opera di tutela a favore di richiedenti asilo, rifugiati e persone titolari di protezione sussidiaria o umanitaria.
In ogni caso, la vita dei migranti che cercano di arrivare in Europa passando per la rotta balcanica sembra rimanere un tema fuori dai radar delle istituzioni e della stampa. In questo quadro, sia per le questioni geopolitiche citate, sia per la sua posizione geografica, la Bulgaria si configura come il punto più fragile della rotta: secondo lo stesso report di cui sopra (il cui titolo è Pushed, beaten, left to die), ha operato 52.534 respingimenti verso la Turchia nel 2024, numero che la rende per distacco il primo paese in questa speciale classifica. Seguono la Grecia (14.482), la Polonia (13.600), l’Ungheria (5.713) e la Lettonia (5.388).
Credit fota LaPresse
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