Mondo

Ronin saluta, Hanan ricambia

La prima araba e cristiana,l'altra ebrea.Si incontrano nell'università di Gerusalemme con una stessa idea in testa:il dialogo e la pace tra i loro popoli è possibile.

di Cristina Giudici

D ue giovani donne s?incontrano all?università ebraica di Gerusalemme. Fuori bambini e giovani palestinesi, armati di fionde e pietre, si lanciano all?attacco contro i soldati israeliani dando inizio all?Intifada, mentre gli integralisti islamici si fanno saltare in aria, carichi di tritolo. Dentro comincia la storia di un?amicizia che saprà resistere alla guerra che contrappone due popoli. Grazie alla comprensione, l?educazione alla tolleranza e una fede profonda. Hanan è araba e cristiana. É nata nella città di Haifa, nel nord d?Israele. Convive con gli ebrei, ma non riesce ad avvicinarli. Li vede ogni mattina, quando esce di casa, ma non riesce a capire la loro lingua. Vorrebbe comprendere le ragioni profonde, storiche, culturali e religiose che li divide dagli arabi, ma trova un muro, invisibile, fatto di silenzio, ostilità e odio. Intanto, molto più a Nord, in Norvegia, Ronit, una ragazza ebrea cresce in una comunità cristiana, a Oslo, e sconta le ripercussioni di una guerra che anche in Europa divide l?opinione pubblica fra i sostenitori delle vittime dell?Olocausto e gli amici di un popolo sradicato dagli ebrei che rivendicano la terra di Mosé. Quando era piccola si chiedeva spesso «perché Dio l? avesse abbandonata», ci ha raccontato Hanan. «Ogni sera gli chiedevo il perchè di tanto odio nel mondo. Poi un giorno ho sentito parlare di Gesù Crocefisso e ho deciso che valeva la pena di provare a credere e mi sono riavvicinata a lui».Negli anni dell?Intifada c?era anche Hanan, a Gerusalemme. Si è trasferita lì, dopo la laurea, per continuare gli studi. «Ogni giorno c?erano attentati, violenza da entrambe le parti. Così ho capito che la mia sfida era quella della tolleranza e dell?amore, cercare di aiutare a ricucire gli odii attraverso la comprensione. Nel laboratorio di ricerca dove lavoravo c?erano ebrei e musulmani. A volte discutevano, ma le loro liti non portavano a nulla, se non a riattizzare conflitti e tensioni. Mi facevo forza pensando all?amore di Gesù in croce, e continuavo a ripetermi che dovevo comprendere cosa voleva dire per un musulmano o un ebreo vivere situazioni terribili». Ronit, invece, ha vissuto a lungo in Norvegia. I suoi amici erano vietnamiti, indiani, pakistani e iraniani. «Gli studenti norvegesi mi voltavano le spalle. Per loro era impossibile avere simpatia per i palestinesi e allo stesso tempo costruire un?amicizia con un?ebrea. Mio padre mi ha insegnato ad accettare tutti per quello che sono, senza badare alla loro provenienza, eppure in Norvegia mi sentivo una straniera». Nel 1986 Ronit torna in Israele. All?università conosce Hanan e presto capisce che entrambe guardano il mondo con gli stessi occhi e così diventano amiche. Hanan scopre il significato dello Shabbar, la festa di iniziazione in cui i giovani imparano l?ultimo libro della Torah, la Caballah. Ronit conosce il mondo arabo e frequenta i cristiani. Insieme capiscono che la diversità di cultura e religione non impedisce l?amicizia. Da allora non hanno indietreggiato mai, Hanan e Ronit, neanche quando intorno a loro il terrore della guerra ha chiuso cuore e mente agli abitanti di Gerusalemme. «Ogni giorno, quando arrivavo al lavoro», racconta Ronit, «dicevo buongiorno ad ogni persona che incontravo. Sembra una piccola cosa, ma quel saluto era un tentativo di rompere il silenzio. Un giorno un anziano, arabo e musulmano, ha risposto al mio saluto. Qualche settimana dopo gli ho chiesto come stava e lui ha voluto sapere se la mia famiglia stava bene. Parlavamo inglese, all?inizio, perché lui non sapeva l?ebraico. In seguito lui ha imparato qualche parola ebraica e io ho cominciato a parlargli in arabo. Così, alla fine, siamo riusciti a sconfigge la paura che ci teneva separati. Un?altra volta mi trovavo sull?autobus, con la mia bambina e si è seduta vicino a me una donna araba. Abbiamo cominciato a comunicare a gesti perchè non avevamo una lingua comune. Poi ha chiesto a mia figlia, di quattro anni, se aveva paura degli arabi e lei gli ha risposto con un sorriso. Per me in quel momento è iniziata la pace». Hanan ha scritto una lettera che legge domenica in piazza San Pietro, indirizzata al Papa in cui dice: «L?amore contagia. Quando facciamo gli incontri, io e Ronit, ci piace cantare il salmo ebraico ?Come è bello e giocondo che i fratelli abitino insieme?. Mi fa pensare al salmo di Matteo, quando Gesù dice: ?Dove due o più sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro? Sono questi i momenti in cui ci sentiamo davvero fratelli, figli di un solo Padre». Il sogno di Williams per protestanti e cattolici Revor Williams, sacerdote protestante, dirige la Corrymela Comunity, sulla costa settentrionale dell?Irlanda, dove i protestanti vivono gomito a gomito con i cattolici. Un rifugio dalla paura che, dopo 30 anni di bombe e terrore, continua a tenere divisi gli irlandesi. Un giorno, durante una funzione dove partecipavano cattolici e protestanti, una donna chiese a Williams di pregare per un uomo che stava per essere giustiziato. Il reverendo le chiese chi era quell?uomo e lei: «É l?uomo che ha fatto assassinare mio padre». Qualche mese fa il reverendo Williams ha organizzato un incontro fra studentesse cattoliche e protestanti per discutere su come la violenza ha modificato la loro adolescenza. Una ragazza sedicienne ha raccontato l?omicidio di suo padre, per mano di bande paramilitari e ha cercato di spiegare come ci si sente a pranzare ogni giorno davanti a una sedia vuota. Ognuna di queste ragazze ha perso un amico, un familiare o un parente nella guerra civile. Era la prima volta che incontravano il loro nemico. Dopo una giornata di diffidenza, sono arrivate le lacrime, gli abbracci e il perdono. E sono diventate amiche inseparabili. Il sogno del reverendo è di portare la riconciliazione fuori dalla sua comunità, nelle strade di Belfast, dove oggi sono diminuiti gli attentati in seguito al processo di pace ma si tocca con mano la paura e l?odio che ha accompagnato due generazioni di irlandesi. Un sogno che se verrà ascoltato forse diventerà realtà.


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