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Roma, la rivoluzione dell’accoglienza

Un bando della Prefettura della capitale riordina il sistema. Il centro Astalli: «La strada è quella giusta» ma «va superato l’assistenzialismo totale di queste strutture. L’accoglienza deve emancipare»

di Giacomo Zandonini

Fra indagini, commissariamenti e proteste, l’accoglienza dei rifugiati a Roma ha attraversato un inverno decisamente caldo. Un bando della Prefettura, il cui esito sarà pubblicato nel mese di aprile, rimette sul tavolo alcuni aspetti centrali della gestione emergenziale e del delicato rapporto fra accoglienza e periferie. Che siano finanziati con fondi Sprar – 3096 posti a Roma per il triennio 2014-2016 – direttamente dal Comune – 680 posti – o tramite i fondi straordinari del ministero dell’Interno – oltre 3mila posti – i centri romani per richiedenti asilo hanno alimentato le cronache locali, percorse dalle vicende di operatori non pagati per mesi e di servizi assenti.

Il nuovo bando, chiuso il 20 marzo, riguarda solo i cosiddetti Cas (Centri di Accoglienza Straordinaria), 3.186 posti per l’esattezza, già utilizzati e per lo più gestiti con proroghe bimestrali da parte della Prefettura. 27 milioni di euro in totale, con un tetto di spesa di 35 euro giornalieri a ospite, che serviranno a mantenere strutture in tutta la provincia di Roma, da maggio a dicembre 2015. «Noi facciamo il tifo per un ampliamento del sistema Sprar, per cui si parla di arrivare a 40mila o addirittura 60mila posti entro l’anno», spiega Berardino Guarino, direttore dell’associazione Centro Astalli, «ma questo bando, seppur emergenziale, tiene comunque in considerazione alcuni aspetti». Per il dirigente di Centro Astalli, che non gestisce i Cas ma partecipa al tavolo di lavoro sull’accoglienza presso la Prefettura, ad essere rilevante è soprattutto la distribuzione territoriale dei centri prevista dal bando, che crea sette lotti – 4 a Roma e 3 in provincia – assegnando a ognuno un tetto massimo di posti. «Una ripartizione che punta a non sovraffollare zone già difficili, evitando che, come in passato, si aprano strutture solo in base al costo degli affitti e, dunque, in zone degradate». Altro aspetto positivo, secondo Guarino, è la richiesta di «equiparare i servizi a quelli dello Sprar». Chi si aggiudicherà il bando dovrà infatti garantire un sostegno completo all’integrazione, elemento già per altro incluso nel capitolato di gestione dei centri, del 2008, e in diverse circolari ministeriali.

È più critico Carlo de Angelis, portavoce di Roma Social Pride, rete di associazioni e cooperative capitoline. «È un bando chiuso, che si rivolge ai soliti noti, costruito per grandi centri. Molte realtà piccole, e preparate, sono rimaste tagliate fuori da requisiti troppo stretti». De Angelis parla innanzitutto della necessità di avere già strutture pronte, dato che l’appalto non copre spese di affitto e manutenzione. «Qui si vuole solo dare continuità a quanto esiste già», spiega «mentre manca un vero ragionamento su percorsi alternativi e innovativi di accoglienza, magari in alloggi o in microcentri diffusi sul territorio. Il criterio di distribuzione geografica previsto dal bando non è poi stato condiviso con i territori: si rischiano nuove tensioni».

La distribuzione dei Cas si concentra infatti sul quadrante sud-ovest di Roma, dalle periferie al mare, per bilanciare la presenza di progetti Sprar nell’asse est della città. La previsione di una quota massima di persone per territorio, 100 in zone con meno di 50mila abitanti e 200 in tutte le altre, riguarda a ben vedere solo i comuni della provincia – oltre 100 toccati dal bando – e non i Municipi del comune di Roma, i cui abitanti non scendono sotto quota 60mila.A essere cruciale, al di là dei singoli aspetti, saranno i controlli, spesso mancanti negli ultimi anni e la capacità di superare l’emergenza, programmando interventi strutturali, come declinato con sfumature diverse da Guarino e De Angelis. «Va superato anche», sostiene quest’ultimo, «l’assistenzialismo totale di queste strutture. L’accoglienza deve emancipare».

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