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Roma, cento persone in strada a tre giorni dallo sgombero

Sono eritrei ed etiopi, rifugiati e quindi in regola con il permesso di soggiorno, che dal 2013 hanno occupato uno stabile per mancanza di alternative. L'Onu esprimne "preoccupazione", il premio Nobel Zerai chiede "un'intervento urgente e una successiva radicale riforma dell'attuale sitema di accoglienza". Dal Comune di Roma, per ora, un inverosimile silenzio. Aggiornamento: oggi 23 agosto all'alba nuovo sgombero delle persone in piazza

di Redazione

E’ “profondamente preoccupato” anche l’Onu, “per lo sgombero e la mancanza di alternative” di 800 persone eritree ed etiope da un palazzo occupato di via Curtatone (piazza Indipendenza) a Roma. Le parole di denuncia arrivano dalle Nazioni unite attraverso il proprio organo di competenza, l’Unhcr, Alto commissariato Onu per i rifugiati: “Desta inoltre particolare preoccupazione l’assenza di soluzioni alternative per la maggioranza delle persone sgomberate. Infatti nonostante ad alcune persone vulnerabili sia stato concesso di rimanere nel palazzo, circa 200 persone, tra cui circa 50 donne, sono state costrette a dormire in strada”. Emblematica la scritta su un lenzuolo appeso sulla struttura: "Siamo rifugiati, non terroristi", si legge.

“Questa operazione si aggiunge ad un quadro già problematico, sono centinaia infatti le persone in fuga da guerre e persecuzioni in transito nella città di Roma, attualmente costrette a dormire per strada in assenza di strutture di accoglienza adeguate. La situazione di grave disagio e marginalità in cui vivono migliaia di rifugiati, incluse molte famiglie con bambini, in insediamenti informali ed occupazioni si protrae ormai da molti anni rendendo urgente la messa in atto di concrete strategie di intervento sociale per tali contesti”, continua l’Unhcr, auspicando che “le autorità a livello locale e nazionale possano trovare una soluzione immediata per le persone attualmente all’addiaccio e che possano garantire ai beneficiari di protezione internazionale presenti a Roma adeguati servizi per l’integrazione”.

Anche l’agenzia Habeshia, associazione fondata dal candidato al Premio Nobel per la pace 2015 Mussie Zerai, sacerdote eritreo rifugiato in Italia da 30 anni, lancia un appello al Governo italiano affinché trovi preso una soluzione per gli sgomberati: “lo sgombero del palazzo di via Curtatone. occupato da circa 800 Eritrei ed Etiopi, titolari di permesso di soggiorno in quanto rifugiati politici e profughi, circa quattro anni fa, è l’ennesima dimostrazione di come il sistema di accoglienza in Italia sia gravemente inadeguato e carente. La radice sta nell’approccio emergenziale con cui è sostanzialmente organizzato, come dimostra l’enorme sproporzione tra i posti disponibili nel programma Sprar, che prevede un percorso di inclusione sociale, e la rete dei Cara e Cas, che ospita la stragrande maggioranza dei richiedenti asilo presenti in Italia ma che di fatto si risolve solo in un enorme ‘parcheggio’. Mancano, cioè, progetti e iniziative guidate che possano aprire prospettive per il futuro alle persone alle quali è stato concesso lo status di rifugiato o comunque una forma di protezione internazionale”, sottolinea Zerai.

Il risultato della mancanza di progettualità? “Nel momento stesso in cui i richiedenti asilo ricevono un permesso di soggiorno a qualsiasi titolo, vengono di fatto abbandonati a se stessi: nulla che consenta loro persino di trovare un alloggio regolare e dignitoso, premessa indispensabile per non ritrovarsi allo sbando e potersi inserire, attraverso il lavoro, nella società italiana che teoricamente li ha accolti e alla quale intendono portare con convinzione tutto il contributo di crescita di cui sono capaci”, continua il presidente di Habeshia. L’abbandono delle istituzioni “crea spesso situazioni di grande disagio: aree grigie dove si sono formate sacche enormi di donne e uomini praticamente dimenticati e di fatto privati dei loro diritti, giovani da sfruttare come braccia a buon mercato per il lavoro nero o, peggio, in taluni casi, per attività molto border line”.

Foto di Eleonora Camilli

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