Politica

Roberto Rossini: “Conciliare ambiente e lavoro è possibile”

Il portavoce dell’Alleanza contro la povertà, già presidente delle Acli, sarà candidato a Brescia per il Partito democratico. In questo dialogo racconta il suo personale salto alla politica, tra partiti da rafforzare, collateralismi con la società civile da evitare e impegni da prendere. Con lui incomincia la serie di interviste di Vita ai candidati per le elezioni del 25 settembre che arrivano da esperienze associative e sociali

di Nicola Varcasia

Roberto Rossini è tra gli esponenti della società civile che ha accettato la sfida di candidarsi alle elezioni del 25 settembre. Lo farà all’uninominale per il Partito democratico, a Brescia, la sua città. Un posizione non facile. Il dibattito sulla difficoltà, quasi ritrosia, di scendere in politica da parte di protagonisti del volontariato e del Terzo Settore è stato ripreso di recente anche da Giuliano Amato (leggi qui). Con Rossini, docente di sociologia, ex presidente delle Acli e portavoce dell’Alleanza contro la povertà, partiamo proprio dalla scelta fatta. Con lui incomincia la serie di interviste di Vita ai candidati per le elezioni del 25 settembre che arrivano da esperienze associative e sociali.

Come è nata la decisione di candidarsi?

C’è stata una proposta da parte del Pd della mia comunità che aiutava ad allargare lo steccato e il perimetro della politica anche alla società civile, di cui faccio parte attraverso le Acli e l’Alleanza contro la povertà. Discutendone con le persone a me più vicine, abbiamo intravisto una buona opportunità anche per fare politica.

Quali i temi che la vedranno maggiormente impegnata?

Lavoro e ambiente. Sono due questioni che sono state sempre poste in conflitto, mettendo in difficoltà le comunità e costringendole a scegliere secondo la logica del male minore. Basti pensare a quello che è accaduto con le acciaierie. Oggi, invece, esistono studi e prassi che dimostrano come lavoro e ambiente possano essere l’asse di un modello di sviluppo sostenibile e sociale costruito sul principio della giustizia sociale.

Non è una visione troppo ottimistica?

Credo che questo modello di sviluppo, più che essere auspicabile e desiderabile, sia il più adatto a interpretare il futuro in modo innovativo e realistico. Questo è un obiettivo e al tempo stesso un sogno. Danilo Dolci diceva che “ciascuno cresce solo se sognato”: pur nella sua complessità, riteniamo che il centro sinistra abbia disegnato un modello di approdo.

Come mai tanta difficoltà a trovare candidati della società civile?

Dovendo sintetizzare direi che, se questa rimane una scelta individualistica, ne capisco la difficoltà. Ma, se è accompagnata e custodita da una comunità, nel senso di un gruppo di persone che sono con te e lavorano al tuo fianco, allora la si facilita. Per me è stato così. È importante che il volontariato e il terzo settore compiano questo passaggio in politica, ma solo se non si tratta di scelte puramente individuali: si tratta di scelte personali fatte all’interno di una comunità.

Come si concilia infatti questo discorso con lo stare in un partito?

All’interno di una comunità non dobbiamo preoccuparci di rappresentare il tutto, ma di essere lievito di un dibattito. Sono convinto che il bene comune nasca sempre da un dialogo, a volte anche da un confronto e da un sano conflitto, che fa parte della nostra esperienza. In questa fase storica, più che avere le ricette giuste, conta il metodo, che è dato dal dialogo e dal confronto. Alla fine, poi, la politica deve scegliere, questo è il suo compito, anche sui temi in cui mi sento direttamente più coinvolto, come l’ambiente, su cui non è sempre facile intendersi con le diverse anime del dibattito.

La presenza di donne e uomini della società civile può aiutare la politica a non perdersi nella polarizzazione estrema?

Credo che la società civile non abbia il compito di medicare la politica. In un rapporto virtuoso, la società civile è capace di esprimere una sua politicità attraverso i soggetti che la abitano. Dall’altra parte, credo che i partiti si debbano rafforzare dal punto di vista della loro soggettività, anche con una legge.

Di che tipo?

Abbiamo passato anni a dirci che bisognava alleggerire i partiti per farli diventare sempre più liquidi. Credo, invece, che i partiti debbano tornare a dotarsi di strutture di approfondimento, studio, organizzazione e rilevazione su come stanno le cose. In questo senso, il 2 per mille mi sembra uno strumento opportuno.

Si può evitare il collateralismo?

L’idea della res publica è che tutti partecipano alla costruzione del bene comune, i partiti per la loro parte e la società civile per la sua. Bisogna poi capire quali sono i rapporti virtuosi che permettano di non essere collaterali e consentano dei canali di collegamento positivi. Abbiamo bisogno tutti quanti di condividere il modo con il quale facciamo politica e astenerci da forme che semplificano troppo i singoli problemi e la politica stessa.

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