Non profit
Roberto Moncalvo: l’agricoltura è giovane e molto tecno
A 33 anni è il più giovane presidente tra tutte le associazioni di impresa e dei lavoratori in Italia
Per fortuna ad Abbassare decisamente la media c'è lui. Perché con i suoi 33 anni Roberto Moncalvo, imprenditore agricolo, neoeletto presidente di Coldiretti, è una giovane mosca bianca. Fatti due calcoli, ha circa 30 anni (una generazione!) in meno rispetto a quella che è – secondo la ricerca “La svolta generazionale dell’economia italiana”, realizzata dalla stessa Coldiretti – l’età della cosiddetta classe dirigente italiana: hanno infatti una media di 62 anni i presidenti di tutte le associazioni d’impresa che operano nell’industria, nel commercio e nell’artigianato, addirittura 69 anni i presidenti e gli amministartori delegati dei principali gruppi bancari e finanziari. Più giovani, 61 primavere di media, i presidenti delle Camere di Commercio. Ultimo dato: i 6 milioni di imprese italiane, solo 637.359 (l’11%) sono condotte da under 35. Un quadro, quello dell’economia italiana che esce da questo dossier, che vira clamorosamente sul grigio.
Come mai il mondo dell’impresa, che dovrebbe per sua natura essere sul fronte più avanzato dell’innovazione continua, affida – a parte il vostro caso – le sue leve a una pattuglia di over 60?
È successa una cosa paradossale. Che da anni tutti – imprenditori compresi – additano la politica come il catino di tutti i mali, in primis l’incapacità di rinnovarsi, l’attaccamento alle poltrone, il perdurare di una gerontocrazia nelle stanze dei bottoni, incapace di qualsiasi rinnovamento. E invece con un colpo di coda ci troviamo con una politica che ha saputo rinnovarsi in modo deciso – sempre la nostra ricerca evidenzia come l’età media dei deputati e senatori è di 48 anni, il Parlamento più “giovane” tra i principali paesi europei – mentre il mondo dell’impresa, nel suo complesso, non ha saputo dare spazio alle nuove generazioni, e non sembra porsi il problema. E questo è un problema, quando parliamo di sviluppo del Paese, perché d’accordo la politica, ma lo sviluppo deve venire anche, se non soprattutto, da chi fa impresa.
Va invece controtendenza proprio il settore imprenditoriale che, nell’immaginario, dovrebbe essere quello più attaccato alla tradizione: l’agricoltura. Che Coldiretti abbia un 33enne presidente non è un caso…
L’agricoltura ha vissuto e affrontato le strette della cosiddetta crisi prima di altri comparti imprenditoriali, e così ha in qualche modo dovuto, prima ancora che voluto, affrontare il dilemma: cambiare pelle, o morire. E ha saputo imboccare un grande percorso di cambiamento, cambiamento di mentalità prima di tutto, fatto di innovazione da una parte e di cambiamento anche generazionale dall’altro. E così nonostante il settore dal punto di vista economico stia ancora soffrendo, risulta essere estremamente attrattivo per i giovani, che non solo scelgono di prendere in mano e rinnovare le imprese tradizionali, di famiglia, ma addirittura arrivano da altri mondi e avviano nuove imprese. È un segnale, questo, che porta entusiasmo a tutto il comparto.
Dopo tanto parlare di start-up pensando sempre e solo a imprese tecnologiche, ecco che le vere start-up sono nate in campagna…
C’è un difetto, in questa affermazione. Perché l’agricoltura, oggi, è tecnologia, è innovazione, né più né meno che le web company. È questo salto di mentalità che i giovani devono fare: non pensare in modo ristretto, e cioè che avviare un impresa oggi vuol dire chiudersi nel recinto delle start-up tecnologiche, ma pensare a come portare in ogni idea di impresa contenuti di innovazione. Questo vale per l’agricoltura, ma vale per tutti. Di sicuro, l’agricoltura sta dimostrando che si può fare tanta innovazione in settori economici che sono propri dell’Italia, dove la tecnologia è un mezzo e non un fine. È inutile continuare a pensare di essere nella Silicon Valley, dove la tecnologia è fine e mezzo. Noi siamo un Paese agricolo. Sfruttiamo questa caratteristica, che è la nostra unicità, ma non fermiamoci lì, guardiamo avanti.
Perché tanti giovani oggi scelgono di fare impresa in agricoltura?
Perché qui intravedono una traiettoria di futuro. L’agricoltura, oggi, non è più il mestiere del contadino e basta. È un comparto allargato che parte dalla produzione agricola ma si apre alla filiera del cibo, alla valorizzazione del paesaggio, all’imprenditoria culturale, al turismo, all’artigianato. Stiamo parlando di un pacchetto di opportunità che rappresenta il 50% del Pil nazionale. Un insieme di mondi che riscuotono ancora pochissima attenzione da parte delle Istituzioni, vero, ma che rappresentano un patrimonio vastissimo, affamato di idee imprenditoriali innovative. Ai giovani questa sfida piace, e si lanciano
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