Welfare
Rivoluzione in classe
I cittadini stranieri sono aumentati del 16,8% in un anno. I romeni a più 82%. Ennio Codini, docente alla Cattolica, commenta i dati clamorosi resi noti dall'Istat: «La scuola dovrà affrontare una pressione enorme»
«L’incremento in qualche misura “anomalo”, ma di sicuro non preoccupante, riguarda i romeni»: così Ennio Codini, professore d’istituzioni di diritto pubblico alla Cattolica milanese, cui Vita.it ha chiesto un commento ai dati pubblicati dall’Istat stamattina e riguardanti il fenomeno migratorio. Tra il 1 gennaio 2007 e l’inizio del 2008 i cittadini stranieri residenti in Italia sono aumentati di 493.729 unità (+16,8%, per un totale di 3.432.651). L’incremento più elevato mai registrato nel corso della storia dell’immigrazione nel nostro paese, da imputare al forte aumento degli immigrati di cittadinanza rumena che sono cresciuti nell’ultimo anno di 283.078 unità (+82,7%). «In effetti», prosegue il professore, «se guardiamo alle altre componenti troviamo una conferma del trend registrato negli ultimi anni».
Non c’è da allarmarsi, insomma…
Assolutamente no. Era previsto. Tutti gli analisti avevano immaginato che, con l’ingresso della Romania nella Comunità europea e la conseguente apertura delle frontiere, si sarebbe verificato un intensificarsi degli arrivi. Non è peraltro detto che la cifra pubblicata dall’Istat sia definitiva: molti rumeni o non si sono registrati o hanno in corso la pratica. Potrebbe quindi essere che il numero sia destinato ad aumentare.
L’apertura delle frontiere era obbligata?
Sì, ma fino ad un certo punto. Nel senso che si è deciso di applicarla subito. Si sarebbe potuto aspettare. Un po’ come accadde alcuni anni fa con la Polonia: la Gran Bretagna decise di aprire immediatamente le frontiere e in poco tempo registrò un’impennata di presenze polacche. Senza peraltro grandi problemi d’integrazione. Al punto che oggi i britannici “temono” il rientro in patria dei polacchi. Questo mi suggerisce un’altra considerazione…
Quale?
Potrebbe verificarsi anche con i rumeni quel che è accaduto coi polacchi. Ovvero una integrazione non particolarmente conflittuale, anzi, facilitata da vicinanza culturale (e nel caso dei rumeni rispetto all’Italia, anche linguistica). Una prima fase dopo la quale, migliorate le condizioni economiche del paese d’origine, potrebbe verificarsi una sorte di “grande rientro”. Non in massa, ma con numeri significativi, i polacchi stanno rientrando. Non mi sento di escludere che potrebbe succedere anche con i rumeni, fra qualche anno.
Professore, c’è poi la questione dei minori stranieri...
Sono 767mila. Dei quali 457mila nati in Italia. Qui bisogna distinguere tra quanti sono nati qui e che in buona parte, quando diventeranno maggiorenni, avranno la cittadinanza italiana. E i minori che qui sono arrivati con i genitori. Per loro è necessaria una modifica legislativa perché divengano cittadini. A suo tempo, la Fondazione Ismu aveva avanzato una buona proposta: collegare la concessione della cittadinanza ad alcuni comportamenti. Ad esempio decidendo di rendere cittadini italiani quei 16enni che abbiano adempiuto o stiano adempiendo all’obbligo scolastico. Il che introduce un altro tema e questo sì desta in me grandissima preoccupazione.
Quale?
La possibilità del sistema scolastico di reggere l’urto di questo impatto. La scuola dovrà affrontare una pressione enorme: in parte questi studenti d’origine straniera sostituiscono gli italiani visto la crisi demografica. In parte no. Soprattutto la loro integrazione scolastica pone questioni e problematiche specifiche, che vanno affrontate, e che però “piombano” su un sistema scolastico già in crisi, per il quale si parla di tagli, di risorse in meno. Non a caso gli effetti già si vedono su quei segmenti scolastici più fragili: mentre le elementari mostrano di “reggere” bene, le medie e gli istituti professionali, regionali e statali, vanno ulteriormente in crisi. È un fronte assai delicato che va affrontato.
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