Formazione

Rivoluzionare il welfare locale: dieci città ci provano

La pandemia ha mostrato che del welfare abbiamo ancora bisogno. Ma il PNRR non sembra cambiare le logiche che hanno determinato l’insostenibilità del welfare locale attuale, con una spesa corrente che cresce del 10% all'anno, destinata sempre agli stessi target. Da Como a Ravenna dieci città, insieme ad ANCI e alla sua fondazione, stanno sperimentando altri modelli. Dove big data, generatività, relazioni e piattaforme si intrecciano

di Paolo Pezzana e Daniele Valla

Cosa ha insegnato la pandemia di Covid-19 al complesso di enti ed istituzioni pubbliche e private coinvolte nella regolazione, programmazione ed organizzazione del sistema di welfare locale, regionale e nazionale italiano? Forse è troppo presto per dirlo. Di certo è risultato evidente per chiunque – persino per i politici più liberisti – che il welfare non è morto, che serve e che continuerà a servire ogni qual volta una qualche crisi produca disequilibri rilevanti nel corpo sociale.

Questa consapevolezza tuttavia non è sufficiente per far sì che il welfare, specie a livello locale, riesca compiutamente a svolgere la sua funzione, che è quella di promuovere il benessere delle comunità e delle persone, non quella di riparare danni di sistema riducendo le persone ad un catalogo di bisogni preconfezionati cui rispondere con un catalogo altrettanto predeterminato di prestazioni standardizzate. La missione 5 del PNRR, per quanto “ricca”, non sembra avere introdotto nel sistema una cultura del welfare diversa da quella che ne ha prodotto la stagnazione e l’insostenibilità attuali, con la conseguenza che, terminate le risorse aggiuntive del recovery fund, il welfare italiano, specie a livello locale, tornerà a fare i conti con dinamiche di programmazione, organizzazione e spesa che non gli consentiranno né di conseguire efficienza né di divenire più efficace di quanto sia stato sino ad oggi.

Dopo il Covid-19 siamo tutti più consapevoli della necessità e dell'importanza del welfare: tuttavia questa consapevolezza non è sufficiente per far sì che il welfare, specie a livello locale, riesca compiutamente a svolgere la sua funzione, che è quella di promuovere il benessere delle comunità e delle persone, non quella di riparare danni di sistema riducendo le persone ad un catalogo di bisogni preconfezionati cui rispondere con un catalogo altrettanto predeterminato di prestazioni standardizzate.

Dieci città, un progetto: Welfare Innovation Local Lab (WILL)

È un problema che è ben noto a chi amministra e vive le nostre città, ma che ad oggi è apparso carente di soluzioni ed iniziative strutturali per risolverlo. Per questa ragione, nel 2019, dieci medie città del Nord Italia dalle caratteristiche socio-economiche simili (Bergamo, Como, Mantova, Reggio Emilia, Parma, Ravenna, Rovigo, Padova, Cuneo, Novara) hanno sentito il bisogno di confrontarsi, al di là della collocazione geografica e dal colore politico delle rispettive amministrazioni, per provare a individuare soluzioni generative e trasformative per il welfare locale, reso insostenibile dalle conseguenze della crisi socio-economica degli ultimi anni e dalla moltiplicazione dei bisogni socio-assistenziali e di salute dei cittadini. Da una analisi condivisa in appositi tavoli di lavoro tra amministratori e funzionari delle città coinvolte è emerso come l’attuale sistema di welfare locale sia caratterizzato da una grande distanza tra i bisogni emergenti e le risorse pubbliche disponibili; la spesa sociale di parte corrente per far fronte ai bisogni delle persone anziane, dei disabili, dei minori, delle persone fragili che vivono da sole, degli working poors aumenta pressoché ovunque con tassi vicini al 10% annuo che i Comuni non riescono più a coprire; prevalgono logiche di servizio per silos di prestazioni e target omogenei, in un sistema sempre più basato, a livello nazionale e locale, su trasferimenti monetari alle famiglie e non su servizi reali in funzione dei bisogni; a fronte di un sistema pubblico che progressivamente ha abbandonato la produzione diretta di servizi, contrattualizzando soggetti privati, con logiche di finanziamento degli input (controllo standard di minutaggio e dei titoli di studio formale degli operatori) e non degli outcome (risultati in termini di benessere conseguito); si è diffuso un ampio mercato informale (si contano ad esempio circa 1 milione di badanti) ben più esteso di quello formale (ci sono oggi circa 300mila posti letto nelle strutture protette e sono 600mila i dipendenti nel SSN).

Il Welfare State, nonostante le numerose evoluzioni concettuali di cui si parla da anni (Welfare Mix, Welfare Community, Secondo Welfare, Welfare Aziendale etc.) si occupa prevalentemente degli stessi target da 30 anni (anziani, disabili, minori sottratti alle famiglie), mentre è debole o assente sulle nuove emergenze sociali (NEET, separazioni genitoriali, immigrazione e seconda generazione, solitudine, perdita di capitale sociale e relazionale, ludopatia, ecc.).

Il Welfare State si occupa prevalentemente degli stessi target da 30 anni (anziani, disabili, minori sottratti alle famiglie), mentre è debole o assente sulle nuove emergenze sociali (NEET, separazioni genitoriali, immigrazione e seconda generazione, solitudine, perdita di capitale sociale e relazionale, ludopatia…)

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.