Volontariato

Riuscirà il bond a risorgere?

Sono stati lo strumento principe dello sviluppo delle imprese. Il nuovo diritto societario lo ha reso disponibile anche a piccole e medie imprese.

di Francesco Maggio

Un momentaccio. Un periodo buio che ricorda molto da vicino gli Stati Uniti dei rampanti anni 80 quando Michael Milken, il re dei junk bonds (cui si ispirerà il famoso Gordon Gekko, alias Michael Douglas, del film Wall Street), dalla plancia della Drexel collocava obbligazioni spazzatura a tutto spiano, guadagnava stipendi record (550 milioni di dollari nel solo 1987) salvo poi finire in galera per truffa e divenire, successivamente, uno dei più grandi filantropi americani con la sua Milken Family Foundation. Il mercato italiano delle obbligazioni societarie somiglia oggi molto all?America di vent?anni fa. Dopo i casi Argentina, Cirio, Giacomelli, Parmalat, la fiducia in questo strumento finanziario è scesa ai minimi termini. Nel 2004 sono in scadenza ben 21 miliardi di euro di bond. Di questi, ben il 30% non ha un rating (ammesso che le famose letterine oggi indichino davvero lo stato di salute di un?azienda) e sono in tanti a chiedersi, scorrendo le date di scadenza dei prestiti: chi sarà il prossimo? Lucchini (100 milioni di euro, il 15 marzo)? Versace (100 milioni, il 23 giugno)? Giochi Preziosi (100 milioni, il 12 luglio)? Le cronache finanziarie di questi giorni sembrano non lasciare spazio ad alcuna via d?uscita. La sfiducia è grande e diffusa. Anche il mondo del risparmio gestito, quello dei fondi di investimento, che pure ha dimostrato di sapere, nel complesso, stare alla larga dalle sirene di Tanzi, sta accusando un brutto colpo. A gennaio, per esempio, i fondi obbligazionari hanno subito una vera e propria emorragia di riscatti e il deficit si è allargato a dismisura, passando da -1,4 miliardi di euro di dicembre 2003 a -2,4 miliardi di euro di gennaio 2004. Inoltre, il panico da effetto domino si diffonde a macchia d?olio: il mondo è pieno di obbligazioni, nell?ottobre del 2002, per la prima volta nella storia, la capitalizzazione mondiale dei titoli di Stato e delle obbligazioni private (con rating sopra la tripla A) ha surclassato quella dei titoli azionari: 13mila miliardi di dollari contro i 12mila miliardi delle Borse su scala globale. Certo, allora l?Orso la faceva da padrone mentre oggi, ogni tanto, se ne va in letargo, ma la sostanza non cambia: sul mercato scorrono fiumi di obbligazioni dal cui rimborso cui dipende il futuro di persone in carne ed ossa. Oggi, tuttavia, qualche buon segnale si comincia a intravedere. Alcune banche, per esempio, hanno finalmente capito che continuare a definirsi ?vittime del sistema? è una posizione indifendibile se non, addirittura, ridicola e stanno agendo di conseguenza aprendo un dialogo proficuo con le associazioni dei consumatori. Banca Intesa, per esempio, ha istituito 5 commissioni paritetiche, composte da rappresentanti dell?Istituto e dei consumatori, che esamineranno caso per caso l?eventualità del rimborso dei bond in default. Vale quindi la pena tornare ai fondamentali e chiedersi: a cosa servono i bond? Ad arricchire qualche affarista spregiudicato o svolgono un ruolo determinante in un sistema economico avanzato? Ora che si paventano strette creditizie in vista degli accordi di Basilea 2, soprattutto per le piccole e medie imprese, non è che facendo di tutta l?erba un fascio si rischia di chiudere rubinetti essenziali per lo sviluppo? Afferma Sandro Salmoiraghi, presidente delle pmi di Confindustria: «Le pmi hanno una sola fonte di finanziamento che è il credito a breve termine. La riforma del diritto societario aveva dato qualche possibilità di accedere al credito in maniera diversa, in pratica con le obbligazioni. Ma adesso provare a proporle ai risparmiatori non è più possibile. Ecco spiegato perché le cattive azioni dei grandi ricadono sui piccoli». Passata, allora, l?emotività che caratterizza questa fase sarà bene cominciare a riflettere su come ricostruire tra i risparmiatori un tessuto di fiducia tale da rilanciare uno strumento che può rivelarsi di straordinario sostegno allo sviluppo delle imprese, ma anche del non profit. Qualche proposta interessante già comincia a circolare. Per esempio: far emettere bond solo a società quotate o da parte di una loro controllata operativa, in modo da arginare il fenomeno del ricorso ai paradisi fiscali; indicare nel prospetto informativo la destinazione d?uso dei capitali raccolti e ad essa vincolarle, pena l?immediato rimborso; vietare alla società che ha emesso bond di riacquistarli direttamente sul mercato o tramite intermediari. Insomma, le idee per uscire dalle secche nelle quali i corporate bond sono finiti, non mancano. Si apra una riflessione in proposito e stiamo attenti a non buttare il bambino insieme alla solita, maleodorante acqua sporca.


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