Mondo

Ritorno alle origini di Dasha. Di mamma non ce n’è una sola

Oggi ha 15 anni, è russa come suo fratello Serghiey, anche lui adottato. La scorsa estate, con Anna Miliotti, sua madre, ha voluto tornare nel paese dov’è nata.

di Benedetta Verrini

“Questa è una faccenda di mamme”. Non ha dubbi, Anna Genni Miliotti, se le chiedi chi, nell?adozione, è protagonista della ricerca delle origini. «Quando mia figlia Dasha mi ha chiesto della sua mamma naturale, ho avuto paura. Mi sono domandata che tipo di dolore avrebbe dovuto sopportare. Ma l?ho accompagnata. è della madre, prima di tutto, che un figlio adottivo vuole sapere. Ed è la mamma adottiva che riporta dall?altra mamma. Questo viaggio è stato importante per me almeno quanto per lei». Ci sta scrivendo un romanzo, Anna, su questa esperienza. E c?è da credere che sarà un best seller, uno di quelli che ti inchiodano fino all?ultima pagina. Cinquantun anni, mora, occhi castani, grandi collane etniche su una felpa sportiva, Anna è un tipo energico e magnetico. Assomiglia un po? a Sigourney Weaver. Laureata in Sociologia, un passato da insegnante e poi dipendente della provincia di Firenze, oggi è scrittrice e consulente di molte associazioni (e della stessa Commissione adozioni) nella formazione dei genitori adottivi. Mi dissi: «è lui» La sua storia di mamma cominciò poco meno di dieci anni fa. «Nel 1993 io e mio marito Sergio eravamo in viaggio in Russia da ?osservatori?, per seguire l?esperienza di alcune coppie che dovevano adottare», racconta. «è stato lì che ho incontrato per la prima volta mio figlio Serghiey. Ero in un istituto di Mosca e a un certo punto il direttore me lo ha presentato, insieme a un altro bambinetto. Sino a quel momento, io e mio marito avevamo immaginato di adottare un bambino più piccolo. Ma mi è scattato qualcosa di inesplicabile. Mi sono detta che era lui». Più o meno nelle stesse ore, a chilometri di distanza, lo stesso colpo di fulmine era scoccato in un altro orfanotrofio, tra Sergio e Daria (o Dasha, come oggi la chiamano vezzosamente). «Gli si mise in collo e non lo mollò più» ride Anna, mostrando una foto di quel giorno, con suo marito quasi strangolato da una bimbetta di cinque anni, occhi dolcissimi e un gigantesco fiocco azzurro in testa. «Da quel primo incontro abbiamo dovuto attendere alcuni mesi: è complicato adottare due bambini che non sono fratelli, in due istituti diversi», continua. «Ma tutto è andato bene. Prima è arrivata Dasha, e due mesi dopo Serghiey. Ricordo perfettamente la notte in cui è entrato in casa nostra. Erano le tre del mattino. Dasha si è svegliata, con in braccio un orsetto del suo orfanotrofio da cui non si era mai separata. Ha incontrato Serghiey per le scale e senza dire una parola, glielo ha dato». Sono seguiti tempi difficili, impegnativi. «Dasha, in particolare, richiedeva molta attenzione», ricorda Anna. «Si portava dentro i traumi di un?infanzia dolorosa, aveva problemi d?apprendimento. Per lei, ad esempio, scendere gli scalini in sequenza o imparare a scrivere le parole in corsivo sono state lente conquiste». Quando Serghiey ha compiuto 14 anni, Anna lo ha portato in Russia. «Lui era sempre vissuto in istituto e non c?erano indicazioni sui suoi genitori naturali», racconta, «Siamo tornati solo per rivedere i luoghi in cui era cresciuto». In uno stesso giorno La faccenda si è rivelata molto diversa quattro anni dopo, quando Dasha ha chiesto di fare lo stesso viaggio verso le sue origini. «Nel suo caso conoscevamo il nome della madre e quello del paesino in cui era nata», ricorda Anna. «Sapevo che Dasha coltivava una grande curiosità su sua madre, e lo trovavo naturale. Però ero terrorizzata all?idea che la realtà le restituisse un?immagine dolorosa e inaccettabile». Nonostante tutto, Anna, organizzò il viaggio. «Aveva bisogno di sapere e di essere accompagnata in questo ritorno, perciò nel settembre dell?anno scorso siamo partite insieme». La prima tappa è stata Vladimir, un paese a 500 chilometri da Mosca dove si trova l?orfanotrofio che aveva ospitato Dasha. «L?accoglienza è stata meravigliosa: avevano conservato tutte le foto che gli avevo spedito. La persona che aveva accudito di più mia figlia, una signora che tutti chiamano mamma Luda, l?ha riconosciuta subito e si è commossa. Mi sono accorta all?improvviso che avevo sempre visto l?adozione da una sola prospettiva, la nostra. Non avevo mai pensato che per loro è importante sapere che fine fanno i bambini e avere la certezza che stanno bene». Il vero salto nel buio, però, Anna e Dasha l?hanno affrontato a Stepantsevo, il paesino di provenienza della ragazza. «Andavamo là senza una meta, non avevamo alcun indirizzo, non conoscevamo nessuno». In quel salto, il destino doveva essere dietro l?angolo ad aspettarle, perché all?ospedale di Stepantsevo le infermiere e i medici hanno riconosciuto la ragazza. «Una scena incredibile, il paese si è stretto intorno a mia figlia», ricorda Anna. «Dasha ha scoperto la sua storia attraverso una specie di racconto corale. La pediatra che l?ha fatta nascere le ha mostrato la pagina del registro del giorno in cui era nata. Le infermiere le hanno offerto il pasto che le davano da piccola, quando si presentava alla ricerca di cibo. La cosa più dura è stato sapere e doverle dire che sua madre era morta». Anna e Dasha sono state accompagnate nel piccolo cimitero di Stepantsevo, sulla tomba che ne custodiva i resti. «In fondo a una lunga fila di lapidi, c?era una misera crocetta abbandonata tra le erbacce» ricorda Anna. E su quel pezzo di legno scrostato, solo un nome, Nadezhda, e una data, 7 luglio 1993. Anna l?ha letta e riletta cento volte, quella data. Non un giorno qualsiasi di un anno qualsiasi: «Dove mi trovavo in quel momento? Ero qui, in Russia. Ero nell?orfanotrofio di Vladimir per portarmi via Dasha. Sua madre se ne è andata lo stesso giorno in cui noi l?abbiamo adottata». Anna si ferma un secondo, prende fiato, la voce le trema. «Lì, davanti a quella tomba, ho guardato mia figlia e ho capito che per lei è stato come incontrare finalmente sua madre. Per me è stato trovare il senso di ogni cosa». Una magnifica girandola Quale senso hai trovato, Anna? «Scoprire che mia figlia ha sofferto moltissimo ma non è mai stata sola. Sua madre stava male, scivolava in una disperazione sempre più profonda, ma tutti mi hanno detto che era una persona gentile e le voleva bene. Dasha è stata amata e accudita da tutti, dalla vicina di casa, alla maestra, fino al personale del piccolo ospedale, e solo quando sua madre è stata ricoverata è finita in istituto. Tutto quel cammino l?ha portata verso di me, che le ho dato un?altra vita. Sono stata l?ultimo gradino di una scala di amore». Mesi dopo il viaggio, da Stepantsevo sono arrivate alcune foto: «La più bella è quella della mamma di Dasha incinta, una foto che rivela la loro somiglianza. L?abbiamo attaccata nella sua cameretta», dice Anna. Alcuni mesi fa, Dasha ha partecipato a un concorso scolastico sul concetto del tempo e ha vinto un premio. Ha incollato su un cartellone un?enorme girandola, di quelle che ruotano al soffio del vento. Su ogni punta c?è una foto legata a un momento della sua vita. «Per i bambini con un?esperienza di abbandono il concetto di tempo è difficile: il presente è dolore, il passato non lo ricordano e il futuro è incerto. Quando li accogliamo, nella loro memoria restano molti buchi neri», dice Anna. «Oggi mia figlia ha finalmente messo in sequenza la sua vita». Per Nadehzda Sarà intitolata alla madre di Dasha una casa d?accoglienza per ragazze madri a Vladimir. Il progetto, fortemente voluto da Anna Miliotti e dal suo Centro di supporto all?adozione, in Italia verrà gestito dall? associazione Nadia. A Stepantsevo è stata allestita una ?stanza del latte? per accogliere 16 madri sole. «La Mucchi Latte ci darà la ?materia prima?» dice Anna. « Ora siamo in cerca di una compagnia aerea disponibile al trasporto». Info: ADOZIONE INTERNAZIONALE


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