Welfare

Ritorna ial debito E parla cinese

Di nuovo prestiti per i Paesi che hanno beneficiato della cancellazione. Arrivano da Pechino. In cambio di accordi commerciali poco trasparenti

di Emanuela Citterio

Ill debito estero cresce e guarda a Oriente. Alcuni Paesi africani, che hanno beneficiato delle cancellazioni negli anni passati, si stanno reindebitando, questa volta con un nuovo creditore ingombrante, che non fa parte del Club di Parigi: Pechino. La campagna per la cancellazione del debito, nel 2008, riparte da qui: la Cina, il prestito trasparente e responsabile, i debiti illegittimi, la finanza per lo sviluppo.

Una maratona internazionale, Drop the debt fast, approderà di nuovo a Birmigham, da cui tutto era partito, il 17 maggio, dopo aver attraversato 36 Paesi strozzati dal debito. Oltre al peso del debito, denuncerà le conseguenze della speculazione sui prezzi dei prodotti agricoli nei Paesi poveri.

«Le iniziative internazionali di cancellazione sono servite», afferma l?economista Massimo Pallottino, «il debito dei Paesi dell?Africa subsahariana è passato da 214 miliardi di dollari nel 99 a 173 miliardi nel 2006. Ma il paradosso è che nello stesso periodo il servizio del debito (cioè la restituzione del debito e dei suoi interessi) è cresciuto da 13,5 a 23,5 miliardi di dollari all?anno».

Dei 41 Paesi ammessi all?iniziativa Hipc, (Heavily Indebted Poor Countries, nazioni povere pesantemente indebitate), solo 22 hanno avuto accesso ai suoi benefici in modo pieno. E il debito globale dei Paesi in via di sviluppo è addirittura aumentato: gli ultimi dati dicono che è pari a 2.851 miliardi di dollari, mentre erano 2.326 alla fine del 1999, quando l?iniziativa Hipc veniva rilanciata al vertice del G7 di Colonia.

Poi c?è il problema del reindebitamento con la Cina e l?India, governi che fanno a sé e non partecipano a iniziative concordate di riduzione del debito. Un esempio? Lo Zambia. Secondo China in Africa, un recente rapporto di Eurodad – il network europeo di 54 organizzazioni non governative che si occupa di debito e sviluppo – in questo Paese il debito estero è passato da 7 a 0,5 miliardi di dollari dopo le cancellazioni bilaterali (vale a dire da parte di singoli Paesi) e multilaterali (da parte di Banca mondiale, Fondo monetario internazionale e banche regionali di sviluppo). Il Paese africano ha riguadagnato credibilità sul piano internazionale anche a causa di un generale miglioramento degli indicatori macroeconomici, diventando in questo modo un potenziale cliente di nuovi crediti. A concederglieli è stata la Cina.

A fine 2006, con 217 milioni di dollari la Cina era diventata il più grande creditore dello Zambia fuori dal Club di Parigi. La maggior parte del debito è stato poi cancellato durante la visita del presidente cinese in Zambia nel 2007, in cambio di nuovi accordi commerciali e concessioni per l?estrazione di rame nel Nord del Paese.

Ma solo Pechino decide quanto e come cancellare, e soprattutto a quali condizioni. Gli esperti di Eurodad mettono in evidenza la mancanza di trasparenza dei prestiti cinesi: gli emissari di Pechino stipulano gli accordi direttamente al vertice, con le massime cariche dei governi africani. Né i parlamenti né i media né la società civile hanno accesso ai documenti. Di recente la China Exim Bank ha riportato un?esposizione verso i Paesi africani di 9 miliardi di dollari.

A lanciare una proposta è Luca De Fraia di ActionAid International, già portavoce della campagna italiana del 2000 per la cancellazione del debito. «La sede in cui proporre un nuovo meccanismo concordato di riduzione del debito potrebbe essere il G20, il gruppo dei 20 Paesi industrializzati che comprende anche la Cina. È ormai chiaro che senza il coinvolgimento di Pechino, il problema dell?indebitamento dei Paesi africani continuerà a cambiare aspetto, senza trovare una soluzione».
Per saperne di più: www.eurodad.org; www.jubileedebtcampaign.org.uk; www.actionaid.org

FLASHBACK

  • Dieci anni fa. Il 17 maggio 1998, nella città inglese di Birmingham, in occasione del G8, 70mila persone formarono una catena umana per denunciare la nuova schiavitù cui erano sottoposti i Paesi indebitati e impoveriti. In alcuni Paesi la società civile portò la questione in Parlamento e ottenne leggi ad hoc, come la 209 del 2000 in Italia.

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