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Ritiro? Gli utopisti ci ripensino

Quasi la metà del suo partito è decisa a chiedere la fine dell’avventura irachena. Per il leader dell’ala riformista invece è un grande errore. Intervista ad Umberto Ranieri.

di Ettore Colombo

Le mozioni che chiedono il ritiro ?senza se e senza ma? delle truppe italiane dall?Iraq al congresso dei Ds aperto giovedì 3 e chiuso sabato 5 a Roma hanno ottenuto percentuali e gradimenti di tutto rispetto, tra il 40% e il 50%, nei congressi locali – di sezione e di federazione – che hanno preceduto l?assise nazionale della Quercia. Ben al di sopra, per capirci, della somma delle tre mozioni di minoranza (quella Mussi-Folena, leader del Correntone, quella dell?ex ministro Salvi e quella ecologista), che non superano il 20% dei voti contro la schiacciante maggioranza dei voti per Fassino. Ma le carte in tavola, con il voto in massa degli iracheni di domenica 30 gennaio, sono cambiate rapidamente. Il centrosinistra «che aspira al governo» ne prenderà atto? E i Ds? Il corpo vivo del partito più grande del centrosinistra è pacifista a oltranza. L?ex sottosegretario agli Esteri, Umberto Ranieri, napoletano e riformista doc, ha idee chiare, in merito, che però sono sempre state, nel suo partito, minoritarie. Ancora subito dopo le elezioni la responsabile Esteri, Marina Sereni chiedeva «il ritiro immediato delle truppe», poi Fassino correggeva il tiro con una nota di suo pugno. Chi vincerà la partita, nei Ds e nell?Ulivo? La pancia pacifista o la mente riformista?
Vita: A sinistra, i commenti sul voto in Iraq oscillano tra incredulità e soddisfazione?
Umberto Ranieri: Per quanto mi riguarda credo che non possa essere accolta che con soddisfazione, l?elevata partecipazione al voto degli iracheni. Che si sono recati alle urne vivendo in condizioni difficili e pericolose, che hanno sfidato violenza e terrore per esprimere la loro volontà democratica. Un fatto di straordinaria importanza, quindi, che può contribuire ad aprire una fase completamente nuova in quel tormentato Paese.
Vita: Quali i prossimi passi che il governo provvisorio dovrà compiere?
Ranieri: Le scadenze che stanno davanti al governo provvisorio iracheno sono molte e molto impegnative: il varo di una Costituzione provvisoria, il referendum di approvazione sul suo testo, infine nuove elezioni politiche. Un anno davvero cruciale, il 2006, per la democrazia irachena. Inoltre, bisogna cercare in tutti i modi di coinvolgere la grande comunità sunnita, che è giustamente preoccupata perché teme di essere emarginata dalla costruzione del nuovo Stato. Il nuovo assetto politico iracheno non può non prevedere un ruolo forte e la partecipazione massiccia dell?elemento sunnita. Un altro dei problemi che sta davanti alle autorità irachene come alla comunità internazionale è l?addestramento delle truppe, nel senso di esercito e forze di polizia. L?impegno non solo di Stati Uniti e Gran Bretagna ma anche di Francia, Germania e della stessa Italia deve volgersi ad aiutare le forze armate nazionali irachene ad affrontare il terrorismo e i nostalgici del regime.
Vita: Onorevole, sta dicendo che bisogna aiutare gli iracheni anche con le armi?
Ranieri: Per il momento per l?addestramento delle milizie nazionali la Nato si è già impegnata ma bisogna rendere più consistente ed effettivo questo impegno. Ecco perché bisogna andare gradualmente verso la presenza di una forza multilaterale, Paesi arabi in testa. Ma il ritiro deve avvenire in un arco di tempo ragionevole e va concordato con le autorità irachene: il loro ministro degli Esteri ha parlato di 18 mesi, forse prima, vedremo.
Vita: Ritirare le nostre truppe è una scelta sbagliata, dunque, oggi più di ieri?
Ranieri: Oggi, grazie al voto, si sono determinate le condizioni per una svolta ma questo è stato possibile perché è stato abbattuto il regime di Saddam. Ora serve un nuovo assetto costituzionale che, come dicevo, renda possibile la convivenza tra etnie. Al ritiro senza condizioni della forza multilaterale non ho mai creduto. Il centrosinistra deve affrontare il problema tenendo conto della volontà del popolo iracheno e dei suoi governanti, che non sono affatto burattini inservibili: spetta a loro decidere. Peraltro, mi sembra chiaro che gli Stati Uniti sono i primi a volersene andare. Il ritiro va fatto in tempi ragionevoli ma senza smettere di sostenere il processo di pace in sede multilaterale. Vuol dire aiutare gli iracheni, anche addestrando le loro truppe.

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