Famiglia

Risparmio etico: Italia al terzo posto in Europa

Lo rivela un'indagine effettuata dal Censis sul ruolo delle imprese nella produzione di capitale sociale

di Gabriella Meroni

Dopo Regno Unito e Olanda, l’Italia e’ al terzo posto, a pari merito con la Svezia, nella classifica del risparmio etico. Lo rivela un’indagine effettuata dal Censis sul ruolo delle imprese nella produzione di capitale sociale, condotta nel mese di giugno su un campione di 1000 intervistati, tra i 18 e i 65 anni. ”A maggio 2003 – spiega Ester Dini, ricercatrice – si contavano 24 fondi di investimento socialmente responsabili, per un patrimonio gestito nel 2002 di circa 1.709 milioni di euro, pari all’11% di quello europeo. Un dato significativo, se si pensa che cinque mesi fa i fondi erano 18 e che fa ben sperare il mercato italiano, se si avranno le stesse performances registrate a livello europeo, dove si e’ avuto un incremento del 78%”. Ma quella di produrre o legare la propria immagine a programmi socialmente responsabili pare essere una scelta sempre piu’ in voga nelle aziende italiane. ”Sara’ perche’ e’ ormai una linea invalsa nella finanza internazionale – prosegue Giuseppe Roma, direttore del Censis -, sara’ perche’ e’ il periodo del social, dell’attenzione dei consumatori e della crescita di movimenti e associazioni ambientaliste e di diritti umani, sta di fatto che negli ultimi dieci anni sono aumentate le imprese italiane che si fanno carico del risvolto sociale delle proprie attivita’, stando attente alle tematiche ambientali e di sicurezza sui luoghi di lavoro”. Nel corso del 2002 circa un quarto delle aziende italiane ha sostenuto attivamente forme di volontariato, cedendo beni (25,7%) o favorendo il coinvolgimento del proprio personale in attivita’ di questo tipo (16,4%), mentre il 22,4% ha acquistato prodotti o servizi da soggetti che svolgono attivita’ di interesse sociale, come cooperative di ex carcerati o strutture di commercio equo-solidale. La scelta della responsabilita’ sociale per le aziende non e’ certo legata ad un’improvviso attacco di carita’, ma al fatto che rende economicamente. Del resto, il fatto che il 50,5% degli italiani abbia acquistato nell’ultimo anno prodotti dopo aver verificato che non inquinano e per la cui produzione sono stati rispettati i diritti dei lavoratori, che il 40,5% ha evitato di comprare da aziende con comportamenti non etici, e che il 14,2% ha partecipato a campagne di boicottaggio, deve aver avuto la sua influenza su chi gestisce la produzione. ”Certo c’e’ il rischio – prosegue Roma – che alcuni, con una piccola donazione, si creino un’immagine trasparente, riuscendo a mettere da parte costi e responsabilita’ importanti per lavoratori e ambiente”. I cambiamenti del sistema sociale e del lavoro, come spiega Giuseppe De Rita, segretario generale del Censis, hanno modificato e rosicchiato tutti quei diritti garantiti dal vecchio welfare. ”Ora questo non c’e’ piu’ – commenta – e ai vecchi soggetti di coesione sociale, come lo Stato e le comunita’ urbane, se ne sostituiscono altri, tra cui l’imprese, che hanno il dovere, e molte gia’ lo fanno, di prendersi in carico internamente i costi sociali”. Per l’evoluzione delle imprese nel sociale, e’ indubbio che queste opteranno sempre di piu’ per programmi di ambiente e salute. L’indagine del Censis rivela infatti che per il 36,2% degli italiani e’ responsabile l’impresa che non nuoce all’ambiente e alla salute dei dipendenti, per il 19,7% quella che garantisce condizioni ottimali di lavoro e per il 12,5% quella che promuove iniziative in campo sociale a beneficio di tutta la collettivita’.


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