Cultura
Riscoprire Olivetti attraverso il design
Tra le opere che saranno presentate al Milano Design Film Festival in questo weekend due lungometraggi “Paradigma Olivetti” e “Prospettiva Olivetti” del regista Davide Maffei indagano sul legame tra architettura, industria e risvolti sociali non solo verso i lavoratori, ma anche nei confronti del territorio e di quanto rimanga ora come eredità
La figura di Adriano Olivetti ha conosciuto nell’ultimo decennio un processo di incredibile riscoperta e rivalutazione, sia per i successi imprenditoriali della sua azienda nel campo delle macchine da scrivere e da calcolo, sia soprattutto per la sua visione di responsabilità sociale dell’azienda nei confronti non solo dei suoi lavoratori ma del territorio di appartenenza, come nel suo caso Ivrea e tutto il Canavese.
Ma cosa è successo dopo la sua morte? Come sono stati tradotti e metabolizzati i suoi valori etici e culturali nei campi dell’architettura e del design industriale, oltre che nella comunicazione, nelle esposizioni ecc.?
Tra le opere che verranno presentate al Milano Design Film Festival questo fine settimana – tema guida di questa edizione è Ri-connettersi – ci sono anche i due film-documentari lungometraggi “Paradigma Olivetti” e “Prospettiva Olivetti” che proveranno a dare risposta a questo interrogativo. Sui riflessi sociali sulle condizioni particolarmente favorevoli che Olivetti offriva ai suoi lavoratori, è già stato scritto e detto molto. In questi lavori, viene indagato un diverso tipo di responsabilità sociale, quello verso la società tutta: un’industria, con i suoi prodotti, le sue sedi, la comunicazione, il mecenatismo per l’arte.
«Olivetti, leader fino agli anni Novanta in macchine da scrivere, da calcolo e arredi per uffici, è stato un attore che ha comunicato nella società in cui operava, influendo sulla qualità della vita di altri lavoratori e dei luoghi di lavoro stessi», afferma il regista Davide Maffei (nella foto). «Perché impegnarsi così tanto nel rendere curati, attraenti, interessanti dei prodotti destinati principalmente a uffici postali, banche, ecc.? Forse perché si dava dignità e valore anche al lavoro della segretaria o della dattilografa, per fare un esempio. L’idea era che attraverso uno strumento di lavoro ben disegnato potesse passare il miglioramento dell’intera società, così come una fabbrica o una sede ben progettata potesse migliorare non solo le condizioni del lavoro ma anche la città o il paesaggio in cui questo edificio nasceva. In questo senso crediamo possa essere un importante esempio anche e soprattutto per l’industria di oggi».
«Per chi come noi si è sempre occupato del rapporto tra architettura, industria e risvolti sociali (precedentemente trattati sia in “Villaggio Eni” che in “La fabbrica blu” sulla Bugatti di Campogalliano nel Modenese), Olivetti ha sempre rappresentato un riferimento assoluto» prosegue Maffei che insieme ad Alessandro Barbieri, come lui ingegnere, e all’architetto Pietro Cesari ha realizzato i lavori che verranno presentati al Milano Design Film Festival. «Abbiamo iniziato a fare interviste ad alcuni dei progettisti ancora in vita, abbiamo affinato il progetto e lo abbiamo presentato all’Associazione Archivio Storico Olivetti che ha accolto con grande interesse questa ricerca».
Parallelamente, Maffei, Barbieri e Cesari si sono interrogati sul destino dei tanti edifici, sia industriali che per uffici, sparsi per il mondo e realizzati da grandi architetti dell’epoca (Louis Kahn, James Stirling ed Edward Cullinan, BBPR, Egon Eiermann, Gabetti e Isola, ecc.) e si sono spostati in USA, UK, Spagna e Germania, oltre che in Italia, per filmare gli edifici rimasti, il loro uso e stato attuale. Dopo due anni e una trentina di interviste, tra cui quelle a Michele De Lucchi, Carlo De Benedetti e Gianni Berengo Gardin, arriva la fase di montaggio.
«Una delle cose più interessanti è stato scoprire che la percezione dei lavoratori italiani della Olivetti era uguale anche all’estero» dice Maffei. «Intervistando ex dipendenti spagnoli abbiamo capito quanto questo modo Olivetti fosse parte integrante della natura stessa dell’azienda da essere percepibile da tutti. Il luogo più interessante è stato invece l’ex training center di Haslemere (UK), a circa un’ora da Londra, progettato da James Stirling, Edward Cullinan e Robin Nicholson, con un avveniristico involucro in fiberglass, che oggi è rimasto nello stato dell’epoca ma è diventato una scuola islamica, quindi sempre un uso per la formazione ma adattato alle nuove esigenze. Questi film non hanno la velleità di essere delle opere omnie» conclude il regista. «Vogliono essere punto di partenza per ulteriori ricerche e da stimolo per riscoprire alcuni approcci secondo noi ancora attualissimi. Non volevamo creare un effetto nostalgia, ma stimolare una serie di riflessioni su come queste esperienze del passato possono essere attualizzate».
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