Riscaldamento globale
Rischio greenwashing nel mercato dei crediti per il clima
Sta per partire, sotto l'egida dell'Onu, un nuovo meccanismo per lo scambio internazionale di crediti di carbonio. È stato uno dei (pochi) risultati della Cop29 sul clima a Baku. Ma, già prima di iniziare, le critiche e i dubbi si moltiplicano, per la mancanza di regole adeguate. Per gli attivisti del clima è greenwashing: uno stratagemma per continuare a inquinare, un passo indietro nella lotta al riscaldamento globale. I dati, per ora, danno ragione agli scettici. Nell'ambito dei sistemi di scambio adottati fino a oggi, meno del 16% dei crediti di carbonio corrisponde a una reale riduzione delle emissioni
Di crediti di carbonio si parla dai tempi del protocollo di Kyoto, il primo accordo internazionale per ridurre le emissioni di gas a effetto serra, entrato in vigore nel 2005. L’anno successivo diventava operativo il Meccanismo di sviluppo pulito (Clean development mechanism – Cdm), che permetteva agli Stati industrializzati di ottenere crediti di emissione – Cer, in cambio del sostegno economico a progetti nei Paesi in via di sviluppo, che avrebbero dovuto portare benefici ambientali in termini di riduzione di gas-serra e di sviluppo economico e sociale nel Sud globale. In questo modo, la parte ricca del mondo, responsabile storica del riscaldamento del pianeta, pagava per rimediare alle proprie emissioni.
Da Kyoto a Parigi, fino a Baku
Dieci anni dopo, alla Cop21, la Conferenza Onu delle parti sul clima di Parigi, erano ormai chiare le distorsioni di quel meccanismo, inefficace e accompagnato da corruzione e violazioni dei diritti umani. L’articolo 6 dell’Accordo di Parigi prevede l’avvio di un nuovo mercato dei crediti, con regole tali da evitare i problemi del Cdm. Ma da allora, a tutte le Cop successive, il tentativo di trovare un accordo sui nuovi standard è fallito. Fino a quest’anno: a Baku, il giorno uno, è stata annunciata in gran fretta l’approvazione di uno schema internazionale per lo scambio dei crediti di carbonio, che dovrebbe entrare in vigore già nel 2025 sotto l’egida delle Nazioni unite attraverso uno specifico organismo di controllo. Grazie a questo meccanismo, Paesi e industrie potranno raggiungere la neutralità climatica e miliardi di dollari verranno destinati a progetti di conservazione ambientale: è il punto di vista dei sostenitori. Per i critici, invece, si tratta di uno stratagemma per continuare a inquinare, segnando un passo indietro nella lotta al riscaldamento globale.
Azione per il clima o greenwashing?
Secondo gli attivisti della rete Climate land ambition and rights alliance – Clara, di cui fanno parte diverse organizzazioni internazionali come ActionAid, Greenpeace e Oxfam, il rischio è che le maglie del nuovo meccanismo restino troppo larghe, permettendo per esempio un doppio conteggio dei crediti. Ma, soprattutto, alcuni progetti nei Paesi del Sud globale potrebbero essere realizzati a spese delle comunità locali. «Un mercato che dà la possibilità di compensare le emissioni di gas serra non è altro che una scusa per continuare a inquinare, non è un’azione per il clima. Le regole di cui si è discusso a Baku non impediranno il ripetersi delle stesse distorsioni che abbiamo già visto», scrivono gli attivisti di Clara. «Non è una coincidenza che il mercato dei crediti sia stato approvato durante quella che doveva essere la Cop della finanza per il clima. Per i Paesi sviluppati l’acquisto dei crediti è la soluzione più comoda, ma non è ciò che serve al Sud globale, né al pianeta». Una delle obiezioni è che lo stoccaggio temporaneo di carbonio nel suolo e nelle foreste non può compensare emissioni di gas serra che restano in atmosfera per millenni.
I dati
Già oggi i crediti di carbonio svolgono un ruolo importante nelle strategie climatiche delle aziende e degli Stati, che li usano per dimostrare di aver raggiunto gli obiettivi dell’accordo di Parigi. Dal prossimo anno, in base a quanto deciso a Baku, ci sarà un mercato dei crediti centralizzato, con un registro gestito dalle Nazioni unite. Una recente ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Nature Communications, ha analizzato per la prima volta in modo sistematico i limiti di questi meccanismi, considerando circa un quinto dei crediti emessi sino a oggi, pari a quasi un miliardo di tonnellate di CO2 equivalente. Sono emersi risultati allarmanti: meno del 16% dei crediti di carbonio corrisponde a una reale riduzione delle emissioni. L’11% riguarda la sostituzione dei sistemi di cottura con metodi più efficienti e fonti di energia rinnovabile, il 25% la mancata deforestazione, il rimanente 84% riguarda la distruzione e l’abbattimento di gas fluorurati.
Il portale britannico Carbon brief ha elaborato una mappa interattiva, in cui sono censiti alcuni progetti sostenuti grazie al meccanismo dei crediti di carbonio nel Sud del mondo, con impatti negativi per le comunità locali, calcoli gonfiati delle emissioni risparmiate, uso illegale della terra, conseguenze per la produzione di cibo.
L’Indonesia si prepara
Il sistema distorto dei crediti conviene anche ad alcuni governi del Sud globale, come l’Indonesia, che mira a farsi pagare fino a 65 miliardi di dollari entro il 2028 per la tutela della foresta e per il ripristino delle torbiere. Questi ecosistemi immagazzinano circa 57 miliardi di tonnellate di carbonio, pari a quasi due anni di emissioni globali dovute ai combustibili fossili e all’industria. Ne parla il giornalista britannico Fred Pearce, sul giornale online dell’Università di Yale, evidenziando i calcoli spesso gonfiati per la compensazione delle emissioni. Il trucco, in genere, sta nel considerare dati di partenza non veritieri, per poter calcolare benefici più elevati di quelli realmente ottenuti grazie ai crediti. Oppure si dà per scontato che una foresta debba essere tagliata, anche se il rischio non c’è. Pearce sottolinea che il sistema potrebbe degenerare in frodi sul carbonio di ampia scala, compromettendo gli sforzi degli Stati per combattere il cambiamento climatico.
Ets, il sistema europeo dello scambio di quote
Il più importante mercato mondiale di crediti di carbonio, a oggi, è quello utilizzato dall’Unione europea per i principali settori industriali e l’aviazione: il Sistema europeo di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra (European Union emissions trading system – Ets). L’Ue ha adottato questo sistema con la direttiva 87 del 2003, per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni nei comparti più inquinanti. Parliamo di oltre undicimila impianti industriali e circa seicento operatori aerei. In Italia sono interessati più di 1.200 soggetti, che rappresentano circa il 40% delle emissioni di gas serra nazionali.
In un articolo su The Conversation, il sociologo Emre Tarim dell’Università di Lancaster, spiega che l’Ets, come qualsiasi altro mercato, è sottoposto a fluttuazioni e speculazioni. E commenta: «Se il nuovo meccanismo internazionale di scambio di crediti seguirà le stesse logiche, semplicemente si perderà tempo prezioso, perché si creerà confusione nei prezzi e si ostacolerà la transizione ecologica».
Nella foto in apertura di Geio Tischler su Unsplash una risaia a Bali, Indonesia
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