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Rimettersi in moto con Adeli

In Slovacchia alla scoperta di un metodo all'avanguardia per le terapie dei disturbi della deambulazione

di Chiara Cantoni

Martina scruta il mondo dietro un paio di occhi grandi e scuri. Il caschetto corto incornicia un volto da simpatica monella; sulle guance, un dolcissimo sorriso. Ha solo cinque anni ma si capisce subito che è determinata, di una tenacia non comune alla sua età. A Milano, lo hanno detto anche i medici dell’Istituto Carlo Besta: «Questa bimba è una che non molla». Ai camici bianchi lei e la sua famiglia hanno dovuto farci il callo, da quando, appena nata, le è stata diagnosticata la paralisi cerebrale (PC). Un termine generale per descrivere i disturbi derivanti da un danno permanente del cervello, che compromette il controllo della postura e del movimento prima, durante o dopo la nascita. Ad oggi, ne sono colpiti oltre 15 milioni di persone e, secondo le previsioni del Dipartimento americano del Censimento, l’incidenza è destinata a salire col calo della mortalità fra i nati prematuri: saranno circa 17 milioni e 34mila nel 2010.

Ogni giorno vengono alla luce 900 bambini con sintomi simili a quelli di Martina e, spesso, ai loro genitori viene detto che quel figlio non camminerà né parlerà mai. Parole pesanti, che un giorno d’inverno del 2003 hanno investito anche i coniugi Fumolo: PC con sindrome distonica, questo il verdetto della neuropsichiatria infantile di Ferrara. Poi la previsione infausta, quella che materializza senza concessioni alla speranza il contenuto di una complicata formula medica: «Il futuro della vostra bimba, se va bene, è su una sedia a rotelle».

Da Ferrara a Piestany
Sono passati cinque anni e, oggi, se aiutata, Martina riesce a camminare. «Non solo: sale le scale e ci va persino matta», racconta la nonna Annamaria Cavallini, che per prima ha creduto negli effetti della riabilitazione. «Ora è in grado di alzarsi, reggendosi a un mobile. Ha imparato a mangiare da sola e a bere dal bicchiere. Quando fa il bagnetto siede dritta nella vasca tenendosi al bordo con le manine». Niente male per una bimba che appena 15 mesi fa non riusciva neppure a mantenere la postura da seduta. «Al Besta di Milano erano stati molto chiari: “bombardatela di fisioterapia”, ci avevano detto. Ma in Italia non ci sono strutture pubbliche adeguate e i medici sono sempre scettici sugli effettivi benefici». Per fortuna, la tenacia è una dote di famiglia e la nonna di Martina non si è data pervinta: leggendo un ritaglio di gionale, ha scoperto il Centro Adeli di Piest’any, in Slovacchia (leggi il servizio su Vita magazine cliccando qui).

«Si raccontava la storia di Samuel, un bimbo di Monopoli, “biondo e ricciolino come gli angioletti di Raffaello”. Affetto da tetraparesi spastica, è stato il primo italiano a sperimentare la Terapia Adeli. È arrivato al Centro allettato, rigido e contratto come un tronco. In Italia gli specialisti avevano già fissato un’operazione chirurgica e iniezioni di botox per rilassargli i muscoli. Ma a Piest’any gli hanno cambiato la vita: ora sta seduto, mangia, va all’asilo, senza bisogno di interventi correttivi». Non ci ha pensato due volte Annamaria: ha preso in mano il telefono e il giorno successivo era in viaggio con Martina. Destinazione, Slovacchia.


Una Tuta da astronauti

L’indumento terapeutico Adeli, utilizzato al Centro riabilittivo slovacco, è roba dell’altro mondo. E non è un modo di dire. Il primo prototipo è stato sviluppato nel 1971, all’Istituto di ricerche spaziali di Mosca, per tutelare gli astronauti dagli effetti dell’assenza di gravità e dell’ipocinesi, come l’atrofia muscolare, la decalcificazione ossea, ecc. «La tuta Adeli, brevettata presso l’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale come “dispositivo per il trattamento di pazienti con menomazioni della postura e dell’attività motoria”, ha un principio d’azione e caratteristiche costruttive e funzionali simili a quella usata per lo spazio», spiega il dottor Valdimir Petrov, direttore scientifico del Centro. Si tratta di un indumento con funzioni di carico e stabilizzazione. L’imbragatura è formata da un sistema di unità di supporto: un’imbottitura per le spalle, una cintura o pantalocini, ginocchiere e scarpe, collegati l’un l’altro da connettori elastici che mimano il sistema muscolare. «La tuta reprime i movimenti sbagliati e patologici, insegnando al cervello a non eseguirli più, e permette invece di esercitare le giuste sequenze di movimento. Grazie alla resistenza esercitata dagli elastici, inoltre, garantisce il rafforzamento dei segnali afferenti corretti dall’apparato muscolare al cervello, così che il sistema nervoso centrale memorizzi più velocemente e in modo più preciso le nuove sequenze funzionali».

I risultati
La terapia consente di ottenere progressi singificativi nei malati in cui la maggior parte dei metodi convenzionali si rivelano inefficaci. Come Elia Sari, cinque anni, di San Donà di Piave (Ve), che ne ha provati un campionario. Senza mai risultati. «A piccoli progressi seguivano, puntuali, altrettanti regressi», confessa la mamma Elga Liva. «Al momento per lui non ci sono alternative al Centro Adeli. Quello che non è riuscito a fare in tre anni in Italia, ossia, camminare e mangiare da solo, lo ha recuperato a Piestany in due settimane». Anche per Giorgia Dagnese, sei anni, affetta da paralisi spastica, il primo soggiorno nel settembre 2007 marca già un’importante differenza: «ha più equilibrio e coordinazione. Può fare quattro, cinque passi se tenuta per una mano», dice la mamma Gisella Giambelli. Un successo che convince i genitori a fare una seconda terapia nel marzo 2008. Ed è quella decisiva: lasciando tutti a bocca aperta, Giorgia mette in fila 20 passi.
Nella maggior parte dei casi, dopo il primo ciclo, i pazienti tornano a consolidare i risultati conseguiti e proseguire nel percorso di recupero. Il piccolo Alessandro Mentasti, di Bodio Lomnago (Va), è ormai un veterano del Centro. A Febbraio 2009 ha raggiunto quota quattro corsi. Ha solo otto anni, ma il volto più severo della vita per lui ha già un nome e un cognome: Sindrome di Aicardi – Goutières, una malattia genetica molto rara (50 casi al mondo), che colpisce il cervello e il sistema immunitario causando atrofia cerebrale e alterazioni della materia bianca, con esiti normalmente molto gravi e aspettative di vita ridotte. «Per i medici dell’Istituto neurologico Mondino di Pavia Alessandro non aveva chance», racconta la mamma Cecilia Cerra. «Contro ogni previsione il decorso degenerativo si è arrestato e la sue condizioni stabilizzate. Il corpo però era compromesso: tetraparesi, ipotonia muscolare, alimentazione tramite Peg, un quadro clinico pesante. Grazie a un chinesiologo americano abbiamo intrapreso un percorso di recupero, ma il salto di qualità è arrivato con Adeli: già dopo il primo trattamento, a fine 2007, e nei tre cicli successivi, Alessandro ha mostrato un maggior controllo intenzionale degli arti inferiori, più coordinamento e forza nei movimenti, e la capacità di articolare suoni più complessi. Oggi sta in piedi e, se sorretto, riesce anche a camminare, mangia, sa andare in bagno da solo. Poco tempo fa ha sorpreso i compagni di classe dicendo per la prima volta “ciao mamma”. E , grazie al movimento più coordinato di braccia e mani, riesce a utilizzare un dispositivo per la comunicazione aumentativa che gli permette di interagire».

Nel metodo Adeli la continuità è fondamentale: «Qui a Piestany ci mostrano esercizi da ripetere anche a casa, che permettono a Martina di consolidare i risultati e ottenerne di nuovi: ora, per esempio, respira correttamente, sà contare fino a cinque, riesce a dire “mamma” e “papà”», conclude la signora Cavallini, che per promuovere in Italia il Centro ha aperto una pagina web con la storia di Martina, le inziative per la raccolta fondi da destinare alle cure, e i suoi contatti: «Vorremmo che anche le altre famiglie venissero a conoscenza di questa possibilità: a noi ha cambiato la vita. Da quando il sito è on-line mi hanno già chiamato moltissimi genitori per saperne di più, e ora mi sto attivando per organizzare in Italia una conferenza pubblica di presentazione. È dura, ma ce la faremo».

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