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Rileggere oggi il “Viaggio in Sicilia” di Primo Mazzolari

La pubblicazione dell’edizione critica del testo di don Primo Mazzolari, curata da Paolo Triofini, è l’occasione per una rilettura dell’opera uscita prima come reportage nel 1952 e poi in volume del 1961. Nonostante il tempo trascorso e alcuni giudizi obsoleti, non mancano provocazioni utili ancora oggi

di Pietro Piro

La pubblicazione dell’edizione critica del Viaggio in Sicilia di Don Primo Mazzolari a cura di Paolo Trionfini (EDB Bologna 2023); permette di rileggere con rinnovato interesse un resoconto di viaggio struggente e profondo.

Le origini del testo

Mazzolari si recò in Sicilia nel 1952 e visitò Palermo, Trapani, Agrigento, Caltanissetta e Monreale su pressante e insistente invito di Giuseppe Alessi (primo presidente della Regione Siciliana dal 1947 al 1949) che era rimasto folgorato dalla lettura di una sua opera. Al termine del suo viaggio Mazzolari scrisse un reportage che apparve prima a puntate su il Popolo di Milano tra l’aprile e il maggio del 1952 e in volume autonomo nel 1961.

Il testo suscitò reazioni opposte e anche l’opposizione ferma di Don Sturzo che considerava il testo pieno di “improvvisazioni”. Tuttavia, come tutti gli altri scritti di Mazzolari non passò inosservato allora.

L’attualità del libro

Ma oggi? Vale ancora la pena di rileggere questo volume? Per trovarvi che cosa? Certamente vi si trova ancora vigorosa e viva la profonda capacità di Mazzolari di penetrare con la sua capacità ermeneutica una realtà complessa e multiforme come quella siciliana a partire dall’osservazione dei volti. Una capacità straordinaria di “farsi prossimo” con i suoi fratelli siciliani. Tanti altri suoi giudizi sono oggi obsoleti ma non inutili. Rispecchiano perfettamente l’epoca in cui il viaggio avvenne. Eppure, ci sono ancora delle provocazioni che possono essere dei validi strumenti per l’agire dell’uomo che si ispira all’evangelo. Mazzolari osserva:

«C’è ancora qualcosa di non ancora ben saldato tra il Cattolicesimo e la natura religiosa dei siciliani, per colpa soprattutto delle sovrastrutture spagnolesche, che vengono conservate per timore che la religione ne soffra; mentre, da tale liberazione, invocata da audaci fedelissime pattuglie di giovani cattolici, potrebbe avere inizio quella feconda ripresa cristiana che salverebbe l’isola da avventure pericolosissime restituirebbe alla Chiesa, più salda, più libera, più operante in ogni campo, la meravigliosa cristianità siciliana» (p. 31).

Parrocchie in Sicilia

Sulla perseveranza di certe “sovrastrutture spagnolesche” è intervenuto Papa Francesco invitando il clero siciliano a una maggiore attinenza alla Evangelii gaudium e al Concilio Vaticano II ma ciò che Mazzolari coglie profondamente non è una questione di “pizzi e  merletti”.

Mazzolari parte da una analisi della struttura della parrocchia in Sicilia mettendo in evidenza come non si sia “saldata” con il popolo soprattutto nei borghi rurali e sia rimasta con l’aspetto “e la pretesa di cattedrale, con una maternità cattedratica e con un cerimoniale capitolare che non aiutano la gente a fare casa con la chiesa e il sacerdote” (p.45). La parrocchia in Sicilia non era per Mazzolare una “casa del popolo con aria familiare” (p.45). L’origine di questo distacco dipende dal modo di interpretare il ministero. Scrive Mazzolari:

«I sacerdoti siciliani […] siccome provengono dal piccolo ceto medio e vivono in famiglia, anche quando rivestono uffici di cura d’anime non riescono nel loro ministero, se non in rari casi, a superare i limiti della casa e delle sue clientele. Ben difficilmente laggiù il parroco è «l’uomo di tutti e di nessuno» ed esercita una vera influenza fuori dalla direzione spirituale, che raggiunge spesso manifestazioni sublimi, rimanendo però sempre nel campo individuale. […] Più che appartenere alla comunità parrocchiale, il prete appartiene a una famiglia e al suo piccolo mondo d’interessi, che quasi sempre riducono la sua azione e la sua considerazione presso il popolo, che riversa volentieri sui frati e sui conventi la sua fiducia e la sua venerazione. […] In Sicilia il distacco è per il suo «particolarismo» che non introduce alla comunità parrocchiale» (pp. 45-49).

La mutazione antropologica

Oggi a questa analisi di Mazzolari – che può essere ancora vera in qualche caso isolato – deve, necessariamente essere affiancata da una visione più attinente alla condizione attuale delle nostre parrocchie. Il distacco di oggi è il frutto di una complessa  “mutazione antropologica” che allontana sempre di più dalla Chiesa e – particolare nelle nuove generazioni – perché le risposte che è in grado di offrire non sono più capaci di soddisfare i bisogni degli uomini e delle donne siciliane di oggi. Uomini e donne che hanno fatto un enorme balzo in avanti rispetto alla condizione descritta da Mazzolari e che possono anche collocarsi tra le eccellenze del nostro Paese (a partire dal Presidente Mattarella).

Uomini e donne che vivono un tempo di estremo individualismo, accelerazione dei tempi della vita, competizione. Un tempo segnato dalla presenza pervasiva dei social che stabiliscono continuamente nuove categorie di valori. Uomini e donne non meno esposti di altri ai cambiamenti climatici, ai processi di deindustrializzazione, all’innovazione digitale, alle questioni di genere.

Gli uomini e le donne siciliani sono oggi “ultracontemporanei” capaci di vivere le stesse tensioni e contraddizioni che si vivono nelle zone più avanzate del pianeta.

La Chiesa siciliana

La Chiesa siciliana di oggi deve essere in grado di illuminare il cammino di queste persone e deve farlo sempre a partire da una proposta cristiana che sia in grado di offrire “una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto”.

Il cammino sinodale avviato nell’Arcidiocesi di Palermo ha intercettato questa attesa di cambiamento e ha dato voce piena alle «gioie, le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono». Ma, allo stesso tempo, sono  emerse delle profonde attitudini del siciliano al quale faceva riferimento anche Mazzolari: lo spiccato individualismo, la difficoltà a cooperare a far crescere le reti piuttosto che il singolo. Scriveva Mazzolari: «non è popolo corale il popolo siciliano; in processione è folla, in chiesa eremita, parrocchiano mai» (p. 46).

È da questo spiccato individualismo che occorre sempre sfuggire, dalla tentazione «di bastare a se stessi». Per questo motivo il suggerimento di Mazzolari di creare un ponte tra Nord e Sud è ancora valido. Questo non serve più a “smuovere la terra” affidando agli avanzati contadini del Nord il latifondo, serve, piuttosto, a creare quel legame di solidarietà tra cattolici che ci faccia sentire tutti co-responsabili della Chiesa che abbiamo ricevuto in eredità.  Mazzolari scriveva che «se bastasse lo stretto per rompere la nostra solidarietà, vorrebbe dire che siamo ancora poco cattolici » (p. 57). Forse, ma non ho certezze in merito, siamo ancora troppo poco cattolici.

In apertura photo by Antonio Sessa on Unsplash


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