Napoli

Rigenerare Scampia? Il grande abbaglio di ripartire dalle Vele 

Crolla il ballatoio della Vela Celeste, l’unica per cui sono stati previsti lavori di riqualificazione degli spazi comuni, finanziati dal Piano Periferie e che quindi, secondo i programmi, non sarà abbattuta. «La rinascita di Scampia non può partire dalla riqualificazione di una sola Vela», dice Ciro Corona, presidente dell’associazione (R)esistenza Anticamorra. «Viviamo da anni in uno stato di emergenza e invece di supportare le tante associazioni presenti sul territorio, le uniche che provano a fare una bonifica culturale contro la depressione sociale, si continua ad ostacolare il nostro lavoro»

di Anna Spena

A Scampia, quartiere a nord di Napoli, è crollato il ballatoio del terzo piano della Vela Celeste (nella foto di apertura l’immagine di un ballatoio delle Vele). Due vittime, un uomo e una donna, rispettivamente di 29 e 35 anni. Tredici i feriti, tra loro anche sette bambini. Il crollo ha coinvolto anche i ballatoi del secondo e del primo piano. Sul fatto la Polizia ha aperto un’indagine. Non si esclude nessuna ipotesi, la più accreditata rimane quella di un cedimento strutturale.

Scampia

Agli inizi degli anni Settanta qui doveva nascere il sogno della media borghesia napoletana. Si costruivano i primi parchi privati, lontano dal caos del centro della città, il verde attorno, la prospettiva di qualcosa di bello, dove la bellezza non è dirompente, ma serena. Ma nell’Ottanta il terremoto in Irpina ha segnato l’inizio delle scelte politiche sbagliate. Furono edificate strutture in piena emergenza post-terremoto, c’era bisogno di case per gli sfollati. Quelle scelte hanno lasciato spazio alla Camorra. Sono poco meno di 41mila gli abitanti residenti, una stima al ribasso. A loro si aggiungono le migliaia di famiglie che, in mancanza di alternative occupano le case, e una consistente comunità Rom che vive in un campo costruito nel quartiere. Scampia è il luogo delle aspettative tradite perché le Vele non dovevano essere le vele, roccaforte della droga con le vedette sui palazzi. Le “case dei Puffi” nel lotto P, fatte di amianto e che oggi cadono a pezzi – come gran parte del quartiere – dovevano essere provvisorie, per tamponare l’emergenza, invece poi sono diventate l’emergenza.

Le Vele

Le sette Vele furono costruite tra il 1962 e il 1975 su un progetto dell’architetto Franz Di Salvo. Nel progetto iniziale era prevista la realizzazione di un nucleo di socializzazione che non è mai stato realizzato. Dei sette edifici originari ne furono abbattuti tre: nel 1997, nel 2000 e nel 2003. Inizialmente le Vele venivano indicate con le lettere dell’alfabeto: dalla a alla h. Poi gli abitanti cambiarono nome alle 4 rimaste: vela verde, gialla, rossa e vela celeste, quella dove si è consumata la tragedia della scorsa notte. La Vela battuta nel 2003 doveva diventare il centro della protezione civile, ma nel 2006 arrivò il cambio d’uso e l’Università Federico II che l’ha trasformata nella sede di scienze della nutrizione. Il progetto è costato circa 57 milioni di euro, 50 sono stati finanziati dalla Regione e 7 dal comune.

La società civile

«È dagli anni Novanta, da quando Bassolino ricopriva il ruolo di primo cittadino della città, che sento parlare di riqualificazione di Napoli e di Scampia. Io allora avevo 16 anni», racconta Ciro Corona, presidente dell’associazione (R)esistenza Anticamorra. La sede dell’associazione è l’officina delle Culture Gelsomina Verde, intitolata a una giovane vittima della camorra. «Nei programmi di riqualificazione di questa amministrazione – così come di quella precedente – la Vela Celeste non deve essere abbattuta, ma dovrebbe invece diventare il simbolo del passato, del quartiere e delle battaglie del territorio». Lo scorso aprile è stato annunciato il piano di rigenerazione urbana dell’amministrazione Manfredi relativo alle Vele di Scampia con i lavori di riqualificazione della Vela Celeste, finanziati dal Piano Periferie. «Il progetto», dice Corona, «prevede per questa Vela la riqualificazione degli spazi comuni, del piano dei garage e dei porticati, dei collegamenti verticali e  del rifacimento delle superfici orizzontali di copertura. La Vela in questione è quella più abitata. Ci sono circa 180 famiglie, impossibile risalire al numero reale visto l’alto tasso di occupazione illegale degli appartamenti. Ma la rigenerazione di un quartiere come Scampia non può certamente passare dalla ristrutturazione degli spazi comuni di una Vela. Quello che sto provando a dire è che non si può curare un tumore con l’aspirina. Quello della Vela Celeste è solo uno dei grandi problemi di Scampia, sono tantissime le strutture fatiscenti che stanno cadendo a pezzi. Viviamo da anni in uno stato di emergenza, sia a Scampia che nel resto della città di Napoli: la stiamo distruggendo. Le amministrazioni che si susseguono si preoccupano di “salvare l’immagine”. E nel frattempo si abbandonano, e si rende anche più difficile, il lavoro delle tante associazioni del territorio che provano a fare una bonifica culturale contro la depressione sociale e morale. Se mai dovessero abbattere tutte le vele o anche se decidessero di riqualificarle tutte, che succede dopo? Qui ci sarà sempre un mostro da sbattere in prima pagine. L’unica soluzione è lavorare con le realtà sociali, ma l’amministrazione le sta mettendo in ginocchio». Ma il polo universitario è stato aperto: «abbiamo aspettato 30 anni quell’apertura», dice Corona. «Ma è un’università non vissuta. Ci sono pochissimi iscritti, i servizi attorno non si sono sviluppati, è una realtà che non si è fusa con il territorio circostante, con il tessuto sociale. Un mondo a sé insomma». Intanto nel quartiere sono diverse le realtà associative che rischiamo la chiusura per questioni burocratiche o convenzioni che non vengono rinnovate: «L’associazione Chi Rom e Chi no o il Centro Gridas, solo per fare qualche esempio, entrambi grandi presidi territoriali». 

Dove andranno le persone?

«Quando le Vele saranno evacuate», chiosa Corona, «Cosa faranno le persone? Dove andranno? Ad oggi non ci sono luoghi per ospitarle, a meno che il Comune non abbia un “coniglio nel cilindro”.


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