Welfare

Rifugiati diventano docenti: il caso modello di Schio per l’integrazione

Dalla materna alle superiori, persone che sono fuggite da guerra e privazioni nel proprio paese insegnano l'intreccio di tessuti agli studenti del Comune veneto: "così si sconfigge la paura del diverso, i ragazzi imparano e gli stessi profughi riacquistano la dignità perduta", racconta la coordinatrice dell'associazione Il mondo nella città, che svolge attività di accoglienza

di Daniele Biella

Ore 9, a scuola c’è lezione di intreccio. Il docente? Ezra, 25 anni, rifugiata gambiana. O Arkan, 23, afgano. Succede da qualche anno a questa parte, e sempre più spesso, nelle scuole di ogni ordine – materna compresa – di Schio, provincia di Vicenza. Nel cuore di quel Veneto da sempre accogliente ma oggi alle prese con la crisi economica che intacca, in casi circoscritti ma rilevanti, anche la solidarietà verso il diverso. A Schio, invece, si respira tutt’altra aria: “portare queste persone nelle scuole è un’azione che fin da subito ha sconfitto la paura del diverso e, al contrario, ha aperto la comunità locale alle loro storie, in fuga da guerre, persecuzioni e disagi di ogni genere”, spiega Chiara Ragni, coordinatrice dell’associazione Il mondo nella città, che da fine anni ’90, in particolare con lo scoppio del conflitto in Kosovo, segue la delicata situazione dei richiedenti protezine internazionale che arrivano in Italia per chiedere asilo politico. “Oggi siamo inseriti in un progetto di una Rete di 13 Comuni della zona più vari enti della cooperazione sociale, e ci occupiamo di gestire la quotidianità delle persone che sono in attesa di sapere se la propria domanda verrà accolta o meno”, spiega Ragni. Attesa che da sei mesi può prolungarsi fino a un anno e mezzo a causa delle lungaggini burocratiche del sistema.

La scuola, dicevamo, è il cardine che rende rivoluzionaria e più che positiva la relazione tra profughi e cittadini, una buona prassi che potrebbe diventare un modello. “Facciamo in media tre incontri, due in cui i docenti fanno imparare agli alunni tecniche di semplice intreccio di tessuti, adattate naturalmente alle età, il terzo in cui presentano il loro vissuto e si scambiano racconti con i ragazzi”, specifica la referente de Il mondo nella città. Nell’anno scolastico appena concluso sono state 15 le sezioni in cui buona parte dei 25 richiedenti asilo – singoli e famiglie di afgani, ivoriani, iraniani, maliani e pakistani, e per tempi più brevi eritrei e siriani, poi ripartiti verso il Nord Europa – più altre persone che hanno ottenuto lo status di rifugiato si sono presentate a tenere i laboratori. “Il progetto si chiama Nuele, che in Swahili vuol dire ‘treccia’, nasce dal fatto che prima si intrecciava la carta per realizzare composizioni, ora si usano le stoffe, anche per realizzare borse. Avere un maestro richiedente asilo o rifugiato è un valore aggiunto sia per gli studenti, perché toccano con mano qualcosa di cui spesso sentono solo parlare in televisione, sia per gli stessi migranti, perché riacquistano una dignità che spesso è venuta meno dopo la fuga dal proprio paese”, sottolinea Ragni.

Anche casa e lavoro sono punti centrali che rendono virtuoso il progetto di accoglienza in atto a Schio: “cerchiamo appartamenti in affitto soprattutto da privati, per massimo 4-5 persone ciascuno, e devo dire che c’è molta disponibilità da parte dei cittadini, anche perché non si è mai verificata una situazione così problematica da rendere necessario un cambiamento”. Il Comune di Schio ha messo a disposizione due appartamenti, che erano rimasti sfitti, con la logica dell’affitto concordato, una pratica che vede l’amministrazione pubblica fissare il canone a seconda di alcuni parametri della casa: il proprietario che accetta tale sistema, riceve poi un’agevolazione sulle tasse comunali. “Ne beneficiamo davvero in tanti in città, italiani compresi”.

Sul versante lavorativo – una delle ‘falle’ principali del sistema d’accoglienza attuale, dato, che una volta ottenuto lo status di protezione spesso il rifugiato si trova da solo a cercare lavoro, con pochi agganci, e il proprio disagio si trasforma suo malgrado in un campanello d'allarme per la cittadinanza – “si stimola fin da subito la partecipazione a tirocini formativi in aziende del territorio, spesso attraverso la consulenza del Centro per l’impiego”, racconta la referente dell’associazione, “rispetto a qualche anno fa la difficoltà è maggiore per tutti a causa della crisi, ma gli esempi postivi non mancano, come una persona che ha trovato lavoro come orticoltore, un’altra come decoratore e una terza in un maneggio”.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.