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Rifugiati: così l’Unhcr opererà in Libia nei prossimi mesi

Mentre i leader dell’Unione Europea, dell'Unione Africana, delle Nazioni Unite e degli stati membri hanno annunciato l’evacuazione dei centri di detenzione, le autorità libiche hanno confermato l’apertura di una “struttura di transito e partenza” a Tripoli gestita dall’Unhcr. La Libia però non ha firmato la Convenzione di Ginevra e per ora riconosce lo status di rifugiato solo a sette nazionalità. Ne abbiamo parlato con Carlotta Sami, portavoce per il Sud Europa dell’Unhcr

di Ottavia Spaggiari

Persone vendute come schiave, ammassate le une sulle altre e sottoposte alle violenze più terribili. Dopo la diffusione della video-inchiesta della Cnn, ennesima denuncia delle condizioni disperate in cui sono costretti a vivere i migranti bloccati in Libia, sembra che finalmente l’opinione pubblica internazionale si sia risvegliata. All’ultimo summit Europa-Africa, i leader dell’Unione Europea, dell'Unione Africana, delle Nazioni Unite e degli stati membri hanno infatti annunciato una vera e propria “evacuazione” dei migranti e dei rifugiati africani detenuti in Libia, nel frattempo le autorità libiche hanno annunciato l’apertura di una “struttura di transito e partenza” a Tripoli gestita dall’Unhcr per chi ha bisogno di protezione internazionale.

La Libia però non ha firmato la Convenzione di Ginevra e per ora riconosce lo status di rifugiato solo a sette nazionalità. Ne abbiamo parlato con Carlotta Sami, portavoce per il Sud Europa dell’Unhcr.

Da quante persone è composto lo staff dell’Unhcr in Libia al momento?

La situazione è complessa, ci sono operatori impegnati su più interventi. Si calcola che in Libia ci siano 500mila persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria, non tutti però sono migranti e rifugiati, bisogna ricordare che la Libia era un Paese di immigrazione, non tutti sono intenzionati a partire per l’Europa. Gli sfollati libici sono circa 200mila, ci occupiamo anche di loro con ciò che viene definito intervento a impatto rapido. Offriamo assistenza alle famiglie libiche e siamo impegnati nella ristrutturazione delle scuole che erano state occupate durante il conflitto.

A quanti dei 29 centri di detenzione avete accesso ad oggi e in che misura?

L’Unhcr non ha ancora sottoscritto un accordo di sede con la Libia. Siamo presenti nel Paese con diversi accordi dal 1991 ma per ogni visita che facciamo all’interno dei centri dobbiamo chiedere un permesso di ingresso. Abbiamo cercato di migliorare le condizioni per quanto possibile, portando materassi e offrendo assistenza medica, anche grazie alle organizzazioni nostre partner. Abbiamo oltre 40 operatori locali e un gruppo di operatori internazionali che si alternano sul campo, la speranza è quella di garantire un presidio internazionale più stabile sul campo.

Riuscite ad effettuare la registrazione dei richiedenti asilo?

La Libia non ha firmato la Convenzione di Ginevra, ma solo una convenzione africana sullo status di rifugiato che, basandosi su criteri diversi, al momento considera come aventi diritto solo una lista di sette nazionalità: siriani, iracheni, palestinesi, somali, eritrei, etiopi di etnia Oromo e sudanesi provenienti dal Darfur. Mentre possiamo prestare assistenza medica a chiunque, indipendentemente dallo stato di provenienza, per quanto riguarda la registrazione, in base ai permessi che abbiamo ad oggi possiamo lavorare solo con queste nazionalità. Ci sono oltre 40mila persone registrate dall’Unhcr e tra queste un gruppo di rifugiati di lungo corso, circa la metà sono siriani, molti erano già nel Paese e si sono fatti raggiungere dalle famiglie dopo lo scoppio del conflitto. Abbiamo comunque aperto un dialogo con le autorità libiche, perché in questo modo vengono escluse persone che avrebbero bisogno di protezione internazionale, come ad esempio gli yemeniti.
L’assistenza medica nei centri è un modo per incontrare i rifugiati e fare per ogni persona una nota verbale con la richiesta liberazione. È un lavoro certosino. Quest’anno abbiamo liberato 1000 persone e abbiamo chiesto la liberazione per altre 2000 delle 17mila presenti nei centri di detenzione.
Siamo poi anche presenti sulla costa, nei 12 punti di sbarco dove vengono riportate le persone che sono intercettare nel e riportate indietro, anche qui l'Unhcr offre assistenza medica e registriamo chi è idoneo, chi non lo è invece viene seguito dall’OIM.

Macron ha annunciato una vera e propria “evacuazione” dei centri di detenzione in Libia, affermando che questo processo inizierà entro pochi giorni, in che modo l’Unhcr sarà coinvolto?

La notizia è di mercoledì e non è stato ancora condiviso un piano operativo. Le autorità libiche hanno però confermato l’allestimento di una “struttura di transito e partenza a Tripoli” per persone che hanno bisogno di protezione internazionale. Ci siamo sempre opposti alla detenzione come strumento di contrasto ai flussi migratori e questo è un segnale che ci induce ad essere ottimisti rispetto allo sviluppo di un rapporto di fiducia con le autorità libiche e alla costruzione di strutture protette ma non detentive. L'apertura di questa struttura è resa possibile anche al forte sostegno del governo italiano.

Quali sono le tempistiche per la creazione della “struttura di transito e partenza a Tripoli”?

È già stato identificato il posto e la struttura sarà aperta il prima possibile, l’obiettivo è creare un luogo che possa ospitare fino a 1000 persone. In questo modo puntiamo a fare uscire i più vulnerabili, le donne e i bambini soli ad esempio. Un primo gruppo è stato già portato fuori dal Paese, 25 persone che ora sono in Niger ed entro la fine dell’anno saranno accolte in Francia. All’Europa abbiamo chiesto 40mila posti per rifugiati provenienti dall’Africa, di cui 5mila dalla Libia. Al momento abbiamo ottenuto una disponibilità di 10.500 posti, con un grande impegno da parte della Francia, bisogna però fare di più.

Chi svolgerà l’assessment per stabilire chi avrà diritto allo status di rifugiato in Libia?

Le registrazioni continueranno ad essere effettuate dall’Unhcr. Per la situazione critica nel Paese non ci sono le condizioni per fare veri e propri colloqui ma, una volta accertata la nazionalità di provenienza, consegniamo un documento che attesta la necessità di queste persone di protezione internazionale.

Però potrete lavorare solo con le persone provenienti dai sette Paesi che la Libia riconosce come idonei alla richiesta dello status di rifugiato, giusto?

Per ora sì ma come ho detto il dialogo con le autorità libiche è aperto.

L’ultimo piano di registrazione d’emergenza per richiedenti asilo è stato quello in Grecia, dove però la situazione soprattutto sulle isole è stata definita da molti operatori umanitari disperata, con persone che aspettano di essere trasferite da un anno e mezzo in condizioni estreme. Cosa può far pensare che le cose possano andare meglio in Libia?

Si tratta di due situazioni completamente diverse. Quello dalla Grecia era un ricollocamento di persone già in Europa verso altri Paesi europei, una sorta di condivisione delle responsabilità. Qui invece si tratta di un reinsediamento verso paesi terzi sicuri anche extra-europei, ci sono diversi Paesi, come il Canada ad esempio, che si sono mostrati favorevoli all’utilizzo di canali sicuri per l’accoglienza dei rifugiati. Le situazioni non sono paragonabili.

Foto: Alessio Romenzi (Unicef)

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