Economia

Riforma Terzo Settore, Granata: «Parlamento e Governo non facciano passi indietro»

Il responsabile del più importante gruppo italiano di cooperative sociali: «Il senso dell'urgenza di questa norma per noi rimane intatto. Le trasformazioni che oggi investono e scuotono il tessuto sociale ed economico, in Italia come nel resto d’Europa, impongono la necessità di rispondere a bisogni primari sempre più complessi e dai forti tratti emergenziali con nuovi strumenti»

di Stefano Granata

Mai come in questo momento il Terzo settore è stato al centro del dibattito e della visibilità nel nostro Paese, dal tema della riforma avviata dal Governo, che ne ha messo evidenza il valore, ai fatti di cronaca che al contrario gettano ombre in particolare sull’operato della cooperazione sociale.

Due prospettive diametralmente opposte, che tratteggiano tuttavia un quadro coerente con ciò che l’impresa sociale è ed è stata: un’esperienza dirompente e rivoluzionaria, spinta dalla volontà di costruire benessere per tutti eppure in larga parte inesorabilmente legata alle risorse economiche pubbliche, che nel tempo hanno “modellato” l’essenza organizzativa e imprenditoriale secondo i propri parametri.

La legge delega messa in pista del Governo esattamente un anno fa però ora rischia di impantanarsi nelle pieghe delle procedure parlamentare. L'ulteriore slittamento del termine per la presentazione degli emendamenti decisa dalla presidenza della Commissione Affari Costituzionali del Senato (Anna Finocchiaro, Pd) dopo quasi nove mesi di dibattito parlametare è un segnale che preoccupa.

Eppure il senso dell'urgenza di questa norma per noi rimane intatto. Le trasformazioni che oggi investono e scuotono il tessuto sociale ed economico, in Italia come nel resto d’Europa, impongono da un lato la necessità di rispondere a bisogni primari sempre più complessi e dai forti tratti emergenziali, dall’altro di far fronte alla riduzione delle risorse economiche che l’amministrazione pubblica è in grado di mettere a disposizione per finanziare l’offerta dei servizi. È evidente che sotto il profilo delle ricadute sullo specifico della cooperazione e dell’impresa sociale questo cambiamento coinvolge in modo particolare il modello di business.

Quale risposta è possibile? L’architettura del welfare si orienta necessariamente verso una maggiore sostenibilità complessiva, capace di declinarsi da un lato nel sostegno alla domanda espressa dai cittadini e al contempo di stare su un mercato in cui si assiste all’allargamento del numero e delle tipologie di player accreditati ad operare come fornitori di servizi pubblici. Un altro elemento destinato a cambiare il profilo del settore è l’apertura di mercati emergenti e sfidanti come l’housing, la sanità, l’energia, la cultura, il turismo. Contesti competitivi che rappresentano il nuovo terreno di sfida per l’impresa sociale nel nostro Paese, perché è qui che troviamo le vere opportunità di sviluppo e di crescita.

In questi mercati l’attitudine ad innovare si deve concretizzare in capacità di attrarre investimenti, di operare secondo logiche e processi industriali e in creatività per costruire nuove forme di collaborazione trasversale ai differenti elementi e soggetti che compongono le comunità.
Con il processo di ricostruzione istituzionale ed economica dell’Italia sullo sfondo, l’impresa sociale può assumere un ruolo di primo piano, partendo dalla consapevolezza dell’impatto fin qui generato e dalla capacità di delineare un futuro adeguato al momento storico. Prossimità alle comunità, impegno per garantire l’inclusione e la coesione, tutela dei diritti di ciascuno sono da sempre e restano i principi fondamentali. Tuttavia oggi a questi elementi è necessario aggiungere un’ulteriore sfida: lo sviluppo e la capacità di generare impatto economico e sociale.

Il Gruppo Cooperativo CGM ha deciso di raccogliere la sfida sperimentando un nuovo modello di impresa sociale in grado di agire per lo sviluppo del territorio. Ciò significa aggiungere alla capacità unica della cooperazione sociale di sostenere le comunità, nuovi elementi di forza. Significa lavorare con logiche nuove sui mercati consolidati del welfare e avere il coraggio di misurarsi su nuove filiere produttive.

La convergenza delle componenti sociali e imprenditoriali è il punto focale. La leva principale è la valorizzazione del capitale di risultati, relazioni e legami costruiti nelle comunità su cui innestare la capacità di fare investimenti e di attrarre capitali, sviluppare nuove competenze manageriali, costruire collaborazioni e partnership con gli enti pubblici e con gli attori l’economia for profit. Il punto fondamentale è l’apertura: assumere forme di organizzazione e di governance adatte a includere nuovi soggetti non vuol dire rinunciare alla visione o snaturare l’impresa sociale. Al contrario, essere multistakeholder, contaminare con nuove soluzioni le prassi consolidate, giocare la propria competenza imprenditoriale insieme a nuovi investitori sono oggi gli elementi chiave che permettono di mettere a valore il vero tratto distintivo dell’impresa sociale: la capacità di mettere in comunicazione e di far lavorare insieme mondi e visioni differenti. Non un settore schiacciato tra il pubblico ed il privato for profit, “tra Stato e mercato”, ma un punto di snodo progettuale fondamentale per la crescita di iniziative che mirano a generare benessere, occupazione, sviluppo e opportunità per tutti. Per cotruire questo nuovo modello, la riforma della legge 155/2006 sull'impresa sociale è imprescindibile. Il Governo e il Parlamento non facciano passi indietro proprio adesso.

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