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Riforma Terzo Settore, Di Battista: «Pronti a discutere, ma l’Agenzia andava fatta»
Dialogo con i deputati del Movimento 5 Stelle della commissione Affari Sociali della Camera coordinati da Alessandro Di Battista. A Milano il confronto pubblico con Vita e Make a Change
di Redazione
Durante questa prima fare della discussione sulla riforma del Terzo settore, non sono mancati i momenti caldi. In diverse occasioni ad alzare la temperatura del dibattito sono stati i deputati a 5 Stelle. Una posizione, la loro, critica, ma non pregiudiziale nei confronti di un dibattito che comunque considerano centrale. Come emerge da questo dialogo che Vita ha avuto con i sei membri grillini della Commissione Affari Sociali e con il loro “coordinatore” Alessandro Di Battista alla vigilia del confronto/dibattito sull’impresa sociale che lo stesso Di Battista (con Davide Crippa e Silvia Giordano) ha avuto con Vita e Make a Change, presso la sede di Make a Cube, in via Ampere 61/a a Milano.
Il Movimento 5 Stelle durante questa prima fase di discussione della riforma del Terzo Settore ha espresso posizioni fortemente critiche in coincidenza anche con lo scoppio dello scandalo da Mafia Capitale. Da quanto poi emerso, forse il problema più che il non profit in sé era ed è il sistema degli appalti regola i rapporti fra PA e fornitori. È d’accordo? Ritiene che il tentativo che il disegno di legge delega fa a livello civilistico di meglio definire il perimetro del non profit vada nella giusta direzione?
In realtà il problema, oltre al no profit, che non è estraneo a casi di corruzione, è il tema del sistema degli appalti e procedure di affidamento degli incarichi e dei profondi conflitti di interesse a diversi livelli. L'obiettivo che si dà la riforma sulla carta è assolutamente condivisibile: nessuno può negare che sia necessaria una revisione e una ridefinizione in certi casi del vasto mondo del no profit, ma nel reale contenuto della riforma piuttosto che distinguere adeguatamente le forme giuridiche e le tipologie di enti e loro caratteristiche, a nostro avviso, si apre la strada a un vero e proprio snaturamento dello spirito del no profit. Basti pensare alla ripartizione degli utili da parte delle imprese sociali e delle cooperative che di diritto diventano imprese sociali, o la dotazione di strumenti finanziari. Insomma un no profit che rischia paradossalmente di diventare for profit pur non volendo.
Uno punti qualificanti e più dibattuti è stato quello relativo all’impresa sociale su cui avete organizzato un dibattito pubblico a Milano con Vita e Make a Change. L’obiettivo della norma è quella di creare un nuovo modello misto pubblico/privato/privato sociale che possa meglio rispondere ai nuovo bisogni sociali e alle carenze (economiche e di efficienza) di un welfare state sempre più in ritirata (in particolare sui territori). Quali sono le opportunità e i rischi che intravede in questo passaggio?
Il rischio è proprio quello di agevolare, piuttosto che contrastare e limitare, il passaggio di servizi pubblici essenziali nelle mani dei privati, facendo in modo che lo Stato non eroghi più nemmeno il minimo indispensabile, ma si limiti ad appaltare all'esterno e a stanziare fondi che poi non gestisce e controlla in prima persona. Ciò in molte regioni sta già accadendo, Quindi il nodo è: dove vogliamo andare? Che tipo di welfare vogliamo nel nostro Paese? La Costituzione a riguardo è molto chiara, il no profit può senz'altro integrare, completare e coadiuvare l'offerta pubblica, ma mai in alcun modo sostituirsi ad essa. Ma, al contempo, se non fosse per gli enti del terzo settore, i cittadini non saprebbero a chi rivolgersi perché lo Stato è assente. Non si tratta solo di parole sulla carta, ma della visione dello Stato e del Paese. C'è una deriva in corso e la soluzione non è privatizzare e assecondare la deriva, ma fermarla e fare in modo che lo Stato torni a fare lo Stato. I ruoli devono essere ben distinti. Lo Stato può senz'altro avvalersi del no profit che ha sviluppato negli anni esperienza, competenza e know how in molteplici settori ma deve essere una collaborazione, mai una delega
Nei prossimi giorni la Riforma arriva in Aula, quale sarà l’atteggiamento dei vostri deputati? Avete in animo di proporre nuovi emendamenti?
L'atteggiamento sarà quello che il M5S mantiene da sempre: siamo ben disposti a nuovi punti di incontro e mediazioni, là dove riteniamo il provvedimento utile. Il dialogo non manca e in commissione alcuni dei nostri emendamenti, seppur riformulati o accolti parzialmente, sono stati accettati dalla maggioranza. Lamentiamo però la mancanza di dialogo sulle questioni più delicate, rispetto alle quali abbiamo visioni opposte e sui cui non ci sono state aperture dalla maggioranza. I temi dell'anticorruzione e dei sistemi di vigilanza e controllo, colpevolmente assenti o troppo deboli in questo testo di riforma, sono centrali. Eppurein questi casi c isiamo trovati di fronte a una chiusura a riccio inspiegabile, con un atteggiamento che negava l'evidenza dei fatti, e la centralità della materia. Alcuni colleghi del Pd ad esempio concordavano con noi sul ripristino dell'Agenzia indipendente per il Terzo Settore a cui avremmo potuto affidare compiti cruciali che il ministero del Lavoro non riuscirà mai a soddisfare, ma sono stati costretti a ritirare i propri emendamenti che andavano in questa direzione.
Alla fine dell’iter quante chance ha questa riforma di essere condivisa e sostenuta da tutto il Parlamento?
Dipende dalle modifiche che la maggioranza accetterà di apportare. Il testo, dopo l'esame in commissione, è di certo migliorato. Riflettano anche sulle nostre proposte e proviamo a fare in modo di sostenere e agevolare il Terzo Settore, beneficiando dell'economia sociale come già il nostro Paese sta facendo, tutelandoci dal rischio di abusi, corruzione, conflitti di interesse, sistemi di potere. Lo Stato ritorni a fare la sua parte esercitando i suoi poteri senza demandare: amministrando e programmando adeguatamente. Oppure ci dicano chiaramente che non vogliono lo stato sociale, ma qualcos'altro.
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