Anziani
Riforma non autosufficienza: un anno dopo, l’inerzia vince sul cambiamento
È passato giusto un anno dal primo (e al momento unico) decreto che dovrebbe dare attuazione alle tanto attesa riforma dell'assistenza agli anziani non autosufficienti. Ma nei territori la transizione fatica a decollare. Che fare? C'è solo una via: rilanciare dal basso
di Franca Maino

La riforma della non autosufficienza, avviata con la Legge Delega 33/2023, ha rappresentato un momento di riconoscimento istituzionale per un bisogno crescente e strutturale della società italiana: garantire risposte adeguate, integrate e continuative a milioni di persone anziane non autosufficienti. È una riforma che poggia su basi solide di conoscenza, confronto e partecipazione civica grazie anche al contributo fornito dal Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza, coalizione sociale che riunisce 60 organizzazioni che operano a vario titolo in questo ambito. Tuttavia, i primi segnali provenienti dai territori indicano che la transizione da principio a pratica sta incontrando ostacoli significativi. Il sistema attuale permane disomogeneo, sottofinanziato e incapace di garantire un’effettiva continuità assistenziale.
A due anni dall’approvazione della Legge Delega e a uno dal primo Decreto attuativo (il D.Lgs. 29/2024 del 15 marzo 2024, in vigore dal 19 marzo dello stesso anno) sono molte le preoccupazioni tra gli attori impegnati nel settore, a partire dalle realtà che animano il Patto. Proprio per questo il Patto ha lanciato una campagna di incontri territoriali – che ha preso avvio il 13 marzo scorso con l’evento organizzato da Percorsi di secondo welfare e ospitato dal Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano – per monitorare la fase attuativa, promuovere un confronto con le istituzioni regionali e restituire una fotografia aggiornata, e realistica, di quanto sta accadendo nei diversi contesti locali.
È stata l’occasione per mettere in evidenza diversi aspetti che riguardano la riforma e su cui vale la pena riflettere.
Non autosufficienza: un’urgenza non solo dettata dai numeri
Secondo i dati Istat, in Italia gli over65 rappresentano circa il 24% della popolazione e sono oltre 4 milioni le persone anziane che vivono in condizioni di non autosufficienza. Eppure, a questo dato quantitativo va affiancata una lettura qualitativa della condizione di fragilità. La cronicità, la multimorbilità, la crescente solitudine e la riduzione delle reti familiari rendono sempre più difficile per molte persone affrontare quotidianamente le sfide legate ai bisogni assistenziali. Per questo non si tratta solo di ampliare l’offerta di servizi, ma di ripensarne profondamente l’architettura, la governance, l’accessibilità e la capacità di personalizzazione della presa in carico. Oltre a pensare a investimenti, coprogettazioni e partnership pubblico-private che adottino un approccio integrato e integrale, finalizzato al benessere delle persone e alla loro partecipazione attiva alla vita delle comunità. Soprattutto a livello territoriale.
Rilanciare l’attuazione dal basso: il Patto e il protagonismo delle Regioni
L’Italia, com’è noto, è un Paese ad elevata differenziazione territoriale. Le politiche per la non autosufficienza non fanno eccezione. Le Regioni si muovono con velocità, visioni e strumenti molto differenti. Alcune hanno consolidato negli anni un sistema di integrazione socio-sanitaria imperniato su équipe multidisciplinari, valutazione condivisa dei bisogni e rafforzamento dell’assistenza domiciliare, anche avvalendosi del coinvolgimento del Terzo Settore e delle comunità locali. In altre è stato avviato un ripensamento complessivo del modello assistenziale, volto a garantire una maggiore continuità delle cure, una più efficace integrazione tra i servizi sanitari e sociali e una distribuzione territoriale più equa e accessibile delle prestazioni. In alcuni territori, invece, l’integrazione tra sanitario e sociale resta debole, l’assistenza domiciliare è spesso discontinua, e manca una chiara definizione degli standard qualitativi per le strutture residenziali. In questi casi spesso sono le storiche carenze organizzative, le difficoltà nella gestione delle risorse e un’offerta di servizi ancora fortemente centrata sulla famiglia, in molti casi senza adeguati supporti, a frenare il cambiamento.

In questa cornice, gli eventi regionali promossi dal Patto e dalle sue organizzazioni assumono un’importanza ancora maggiore. Si tratta di un percorso “a tappe” che coinvolgerà sette Regioni (Lombardia, Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte, Marche, Sardegna e Puglia) e si concluderà con un evento nazionale a Roma nel mese di giugno. L’obiettivo principale è avviare un confronto pubblico sulle opportunità offerte dalla riforma, focalizzandosi sui bisogni degli anziani non autosufficienti, delle loro famiglie, dei caregiver e delle comunità locali. Il dialogo con gli attori istituzionali e con gli stakeholder regionali, favorendo l’ascolto e la comprensione delle criticità territoriali, offre l’opportunità di individuare e condividere priorità che riguardano la vita delle persone non autosufficienti. Questi eventi rappresentano occasioni fondamentali per discutere di come tradurre i principi della riforma in soluzioni concrete, mettendo al centro le persone e promuovendo la co-costruzione di un sistema di assistenza continuativa, integrato e di qualità, capace di garantire una presa in carico globale e un care multidimensionale.
Gli incontri offrono anche l’opportunità di mappare le priorità e le necessità locali, raccogliendo informazioni cruciali su bisogni specifici, problematiche e carenze nei servizi. Le organizzazioni del Patto raccoglieranno così dati preziosi per elaborare proposte più mirate e concrete con l’obiettivo di incidere sulle politiche a livello regionale e nazionale, contribuendo, al contempo, a sensibilizzare un pubblico ampio sull’importanza della riforma e delle politiche proposte. Oltre al confronto diretto e mirato con i vari interlocutori, ne può uscire rafforzata la capacità di advocacy del Patto e delle sue organizzazioni, rendendo l’azione più concreta, visibile e radicata territorialmente.
La Legge Delega non basta: criticità che frenano la riforma
In questo quadro, la Legge Delega non appare sufficiente ad affrontare le tante sfide presenti. È urgente disporre dei decreti attuativi e soprattutto di decreti adeguati alle sfide legate all’invecchiamento crescente e alla non autosufficienza.
Il D.Lgs. 29/2024, primo passo attuativo della riforma, lascia irrisolte molte delle questioni centrali: la governance resta frammentata e l’integrazione tra sanitario e sociale resta sullo sfondo; l’assistenza domiciliare non viene rafforzata in termini di continuità e intensità degli interventi; non vengono definiti standard qualitativi vincolanti per le strutture residenziali; l’indennità di accompagnamento non è collegata a percorsi strutturati di presa in carico; il lavoro degli assistenti familiari e dei caregiver non riceve un riconoscimento adeguato, né strumenti di emersione dal lavoro sommerso. E anche la questione della valutazione – potenzialmente positiva – presenta elementi di criticità.
La Legge 33 prevede un percorso semplificato per l’accesso alle prestazioni, riducendo le duplicazioni e garantendo uniformità e oggettività nelle valutazioni. Se attuata, potrebbe portare benefici sostanziali non solo per le persone e le famiglie, ma anche per i decisori nazionali e regionali, che avrebbero accesso a dati omogenei, confrontabili e di qualità. Al contrario, il D.Lgs. 29/2024 sembra complicare ulteriormente i processi, rendendoli più confusi rispetto alla situazione attuale e a quanto previsto dalla Legge Delega. Introduce, infatti, limitazioni ai diritti, invade spazi istituzionali e crea sovrapposizioni tra i sistemi di valutazione e le competenze nazionali e locali, prefigurando incertezze applicative oltre che criticità giuridiche e istituzionali, anche di livello costituzionale.
Tutto ciò rischia di allontanare la riforma dalle sue promesse originarie, compromettendo il lavoro svolto nei due anni precedenti da società civile, esperti e istituzioni e di rendere ancora più complesso il lavoro degli attori regionali e locali.
Una questione anche (ma non solo) di risorse
Secondo le stime elaborate dal Patto, per rendere operativa la riforma sarebbero necessari tra i 5 e i 7 miliardi di euro. Una cifra rilevante, ma affrontabile attraverso una strategia di crescita progressiva e sostenibile. Tuttavia, a oggi, manca un impegno esplicito del Governo in questa direzione. L’assenza di una pianificazione pluriennale rappresenta un ostacolo grave ed è il segnale di una debole volontà politica nel sostenere realmente il cambiamento. Ma la questione non è solo economica: è anche di capacità di visione, di costruzione di alleanze tra livelli istituzionali, di investimento in capitale umano e relazionale.
Per evitare che la riforma si traduca in un’occasione mancata, è necessario e urgente un cambio di passo. Serve una governance nazionale capace di affiancare le Regioni, monitorare l’attuazione, garantire l’uniformità dei diritti su tutto il territorio. Senza questi elementi, il rischio è che la riforma resti sulla carta e che le diseguaglianze regionali si amplifichino ulteriormente.
Inoltre la Legge Delega sulla non autosufficienza da sola non basta. Servono decreti attuativi coerenti, risorse adeguate e un’effettiva assunzione di responsabilità a livello nazionale e regionale. Per questo la riforma dovrebbe svilupparsi nel suo percorso attuativo come un processo costruito con e nei territori, ma dentro una cornice nazionale chiara e volta a creare un sistema unitario.
Esistono ancora margini di azione per rendere coerente la riforma rispetto ai suoi obiettivi originari. Occorre farlo ora, prima che l’inerzia – che così a lungo ha caratterizzato la (mancata) evoluzione della long term care in Italia – prevalga nuovamente sul cambiamento.
Franca Maino, Università degli Studi di Milano e Percorsi di secondo welfare. La foto di apertura è di Fondazione Sacra Famiglia
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