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Riforma della cooperazione: voci pro e voci contro

Una critica arriva dalla Regione Lombardia. Se ne è parlato all'Ispi di Milano con la viceministra degli Affari esteri nella conferenza «Italia, aiuti allo sviluppo, cooperazione: quali riforme?».

di Emanuela Citterio

Fa discutere il disegno di legge sulla riforma della cooperazione internazionale. C?è chi dissente su forma e contenuto. Se ne è parlato all?Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) di Milano, il 19 marzo, durante la conferenza «Italia, aiuti allo sviluppo, cooperazione: quali riforme?». A presentare la riforma «di una legge, la 49, che risale al 1987, e quindi inadeguata da tempo», è stata la viceministra degli Affari esteri Patrizia Sentinelli.

A gennaio il consiglio dei ministri ha approvato la legge delega per la riforma della cooperazione internazionale. Ma ci vorrà almeno un anno prima di arrivare al decreto legislativo. La proposta di riforma passerà al vaglio della Conferenza Stato-Regioni, poi deve essere riapprovata in consiglio dei ministri, e infine essere discussa in Parlamento.

E proprio da una delle regioni italiane che investe di più in cooperazione internazionale arriva la critica: «Nella bozza di legge delega si parla di unitarietà, a noi sembra sinonimo di centralismo» dice Roberto Ronza, responsabile delle relazioni internazionali della Regione Lombardia. «Nel documento si dice anche che la cooperazione deve essere espressione della politica estera del governo. Crediamo che le ong non sarebbero d?accordo. E non lo sono nemmeno le Regioni, che sono impegnate in modo autonomo nella cooperazione internazionale». Ronza rivendica la «realtà plurima» dello Stato, «che è composto anche di Regioni, Province e Comuni». Anche l?agenzia per la cooperazione, ipotizzata dalla riforma, per Ronza «andrebbe ripensata. Dovrebbero farvi parte anche rappresentanti delle regioni e delle ong. La vera novità sarebbe far partecipare la società civile alla fase decisionale, non solo consultarla dopo».

Di qualità, e non solo quantità, dell?aiuto pubblico allo sviluppo ha parlato Marco Missaglia, docente di economia politica all?Università di Pavia. «La nuova cooperazione dovrebbe puntare su due settori: valorizzare le rimesse degli immigrati, indirizzandole verso investimenti produttivi e favorire il coordinamento fra le politiche dei Paesi in via di sviluppo per la tutela dei beni comuni, per esempio, o la lotta alle malattie. Spesso invece l?aiuto si frammenta in piccoli progetti, o rischia addirittura di creare squilibri, se non segue criteri di qualità».


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