Formazione

Riforma del sostegno: giusti gli obiettivi, sbagliati i mezzi

Dario Ianes del Centro Studi Erickson, docente all’Università di Bolzano e promotore della sperimentazione in Trentino senza insegnanti specializzati, commenta la proposta di legge di Fish e Fand

di Marina Moioli

Sta suscitando molte polemiche la Proposta di Legge A. C. 2444 (Norme per migliorare la qualità dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con altri bisogni educativi speciali) presentata da Fish (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e Fand (Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità) inserita nella riforma della Buona Scuola. La riforma del sostegno a scuola si fonda su quattro elementi: laurea speciale per gli insegnanti interessati, carriere separate tra docenti di curriculum e docenti di sostegno, continuità didattica per i secondi e i loro alunni, specializzazione per le diverse forme di disabilità. Un’impostazione che anche molte associazioni di disabili contestano. “Vita” ha chiesto un commento a Dario Ianes del Centro Studi Erickson, docente all’Università di Bolzano e promotore di una sperimentazione di didattica inclusiva in Trentino senza insegnanti di sostegno.

C’è un dibattito aperto sulla proposta Fish e Fand che mira a riformare il sostegno a scuola e ridefinire la figura dell’insegnante di sostegno attraverso una laurea speciale per gli interessati. Lei cosa ne pensa?
«Nel disegno di legge 2444 ci sono un sacco di cose assolutamente condivisibili e buone. Il punto è che gli obiettivi che vogliono sono giusti, ma sono sbagliati i mezzi. Non si può pensare di formare l’insegnante di sostegno con un percorso diverso rispetto agli altri. Mi sbaglierò, ma le esperienze che abbiamo fatto negli anni sono state tutte negative. Sono convinto che se ci sarà un percorso diverso per gli insegnanti faremo un passo indietro. Prova ne sia che in Germania o Austria hanno superato da tempo la formazione “speciale”.

Uno dei punti più discussi, infatti,  è proprio quello della separazione delle carriere, che a moltissimi non piace. Gli insegnanti ribadiscono che quello di sostegno che passa a fare il curriculare porta con sé un’esperienza e un'attenzione che va a migliorare l'insegnamento e l’inclusione…
«Infatti: sono contrarissimo alla separazione. Fondamentalmente ritengo sia sbagliata la prospettiva separante tra docenti curricolari e docenti di sostegno, proprio perché consolida e rende strutturale la divisione tra “insegnanti normali” e “insegnanti speciali” favorendo meccanismi di delega che troppo spesso, già oggi, portano a microesclusioni dentro e fuori la classe».

Il disegno di legge è avversato dal Comitato nazionale insegnanti Bis-Abili che paventano la “medicalizzazione” del sostegno scolastico. C’è davvero il rischio di trasformare gli insegnanti in badanti senza conoscenza delle discipline di curriculum?
«La scelta da fare è delicata, ma deve riguardare tutti. La competenza deve essere diffusa. La mia tesi è che tutti i docenti dovrebbero occuparsi di sostegno. Gli insegnanti di sostegno, che oggi sono 120mila, li facciamo diventare curriculari e una parte, i più competenti, li facciamo girare per formare gli altri colleghi.  Ovviamente i temi della qualità dell’integrazione e delle competenze necessarie per realizzarla realmente, al di là della retorica, sono centrali, e rappresentano un fondamentale diritto degli alunni/e con disabilità e delle loro famiglie, ma vanno affrontati in un altro modo.
 Un’integrazione di qualità porta a dei risultati concreti e osservabili: bisogna partire da lì».

Sta per uscire la seconda edizione del suo libro “L’evoluzione dell’insegnante di sostegno. Verso una didattica inclusiva” dove propone di non affidare più agli insegnanti specializzati il sostegno agli alunni in difficoltà, ma utilizzare i docenti curriculari aiutati da un limitato numero di specialisti che ruotano in tutte le classi. Come sta andando la sperimentazione in Trentino della sua idea di “evoluzione positiva” del sostegno?
«In questi due anni abbiamo avuto ottimi risultati nelle 17 classi sperimentali delle scuole primarie e medie in cui abbiamo adottato il modello di insegnanti curriculari con la presenza di tutor esperti. Dobbiamo ancora elaborare i dati numerici, ma l’impressione generale è che questi gruppi di intervento abbiano mobilitato risorse nascoste che aspettavano solo di essere svelate».

 

Foto Getty Images

 

 

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