Economia

Riforma BCC. Federcasse: «Attendiamo la legge, ma i ritardi non sono nostra responsabilità»

Dopo le parole del premier, che alla Leopolda ha espresso l’urgenza di un’azione riformatrice, il Credito Cooperativo interviene chiarendo: «abbiamo consegnato al Governo da oltre quattro mesi una organica proposta di riforma, condivisa con la Banca d’Italia»

di Redazione

Federcasse (l’Associazione nazionale delle Banche di Credito Cooperativo e Casse Rurali – BCC) prende atto dell’urgenza che il Presidente del Consiglio ha espresso per la seconda volta in sette giorni relativamente alla riforma delle BCC. E ricorda che ha consegnato al Governo da oltre quattro mesi la propria organica proposta di riforma, condivisa con la Banca d’Italia. Chiarito una volta per tutte che il ritardo nell’emanazione del decreto non dipende affatto dal Credito Cooperativo, si attende con immutata fiducia.

Federcasse respinge però con forza la tesi che la numerosità e la dimensione delle banche costituisca di per sé un problema. Ogni BCC è oggi inserita in una rete locale e nazionale che già genera economie di scala. Il senso della riforma che è stata messa a punto va proprio nel senso di rafforzare la coesione delle BCC. Sarà un passaggio ancora più avanzato nel far sistema. Nascerà appunto un Gruppo Bancario Cooperativo, emblema di una coesione integrata adeguata ai tempi e alle regole dell’Unione Bancaria.

Sarà il primo gruppo italiano per capitali tutti italiano e il terzo per volumi complessivi.

Ma già oggi il sistema delle BCC è solido, come evidenziano le cifre che più avanti riportiamo. Fino ad oggi anche le più piccole BCC sono state aiutate a restare nel mercato e a superare eventuali difficoltà. Dopo la riforma, che non ha di per sé l’obiettivo di ridurre il numero delle BCC, il sistema sarà ancora più competitivo e ancora più solido per via di meccanismi del tutto originale di coesione integrata.

Ogni singola BCC è inserita in un sistema che ha consentito, quando necessario, di risolvere al proprio interno e senza alcun contributo pubblico le situazioni di criticità. Gli strumenti di categoria che il Credito Cooperativo si è dato negli anni (Fondo di Garanzia dei Depositanti, Fondo di Garanzia degli Obbligazionisti, Fondo di Garanzia Istituzionale) hanno permesso ai loro clienti di non subire alcun danno patrimoniale.

Federcasse ricorda che oggi un cliente di BCC che possiede obbligazioni ordinarie emesse dalla stessa Banca e garantite dal Fondo di Garanzia degli Obbligazionisti, può contare su una garanzia – nei limiti di quanto stabilito dallo statuto – che arriva a 103 mila euro, aggiuntiva a quella di 100 mila euro riconosciuta per legge ai depositanti.

Più in generale, l’abbondanza di banche che funzionano e che mediamente sono solide non dovrebbe costituire un problema. Il pluralismo e la responsabilità gestionale affidata alle comunità è una modernissima – purché efficiente – realtà di partecipazione democratica e di mantenimento nei territori dei centri decisionali.

Un numero significativo di Consigli di amministrazione non è un problema. Sono amministratori eletti dai propri soci che sono i proprietari delle cooperative bancarie che scelgono liberamente a chi affidare la gestione della propria azienda. La democrazia non è solo quella delle urne, può addirittura arrivare a gestire – è così da fine ‘800 – il denaro di una comunità.

I consiglieri di amministrazione si sobbarcano rischi crescenti e molto spesso ricevono un gettone di presenza per le riunioni. E le eventuali sanzioni non sono certo proporzionate al gettone. Quei CdA assumono direttori che guadagnano, come chiunque svolge un lavoro nel mondo delle imprese, stipendi coerenti con le logiche di mercato. Perché si chiamano prebende?

E ancora, perché favorire indirettamente l’assioma too big to fail. I veri rischi sistemici sono concentrati in grandissime banche non italiane che hanno in pancia miliardi di derivati. Le reti di imprese, anche bancarie, aiutano a eliminare inefficienze e a costruire in modo diverso le economie di scala.

Federcasse chiede ancora una volta con forza, dunque, di non assumersi la responsabilità grave di associare la crisi delle 4 banche – per la cui risoluzione le BCC sono state costrette a pagare nel giro di due settimane 225 milioni di euro – alla riforma delle stesse BCC che è attesa da mesi. Il decreto “salvabanche” è una misura congiunturale, il decreto che – si spera presto – riformerà le norme che regolano le BCC è una misura strutturale. La coincidenza temporale è nefasta e, come detto, dovuta a ritardi non delle BCC, né di Federcasse.

Federcasse prende atto inoltre di quanto affermato dal Direttore Generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi che ieri, nel corso della trasmissione “In mezz’ora” condotta da Lucia Annunziata su Rai 3, ha sottolineato il ruolo storico e di sostegno alle economie locali delle Banche di Credito Cooperativo e Casse Rurali (BCC).

È importante ricordare a tale proposito che le quattro banche portate a risoluzione non erano né tutte piccole né tutte di territorio. Non erano comunque Banche di Credito Cooperativo. Le aziende bancarie (le cosiddette good banks) derivanti da quella misura di risoluzione sono tuttora operative e fanno concorrenza nei territori dove operano a tutte le banche, soprattutto a quelle che hanno come unico mercato quel territorio e che hanno comunque pagato per la loro risoluzione.

Tutti i numeri del Credito Cooperativo
Federcasse
rimarca gli indicatori patrimoniali delle BCC e Casse Rurali, con un patrimonio di sistema (capitale e riserve) di 20,5 miliardi (cresciuto dell’1,3 per cento nell’ultimo anno). Il CET 1 ratio ed il TCR medi delle BCC sono pari, rispettivamente, al 16,2 ed al 16,7 per cento in raffronto al 12,1 ed al 14,8 del resto dell’industria bancaria italiana.

Le 368 BCC e Casse Rurali italiane, con 4.450 sportelli (il 14,6% degli sportelli bancari nel nostro Paese) hanno oggi una presenza diretta in 2.697 Comuni ed in 101 province. Con 1 milione e 230 mila soci e 37 mila dipendenti certificano una raccolta diretta di 161,5 miliardi di euro e 135,5 miliardi di impieghi. Gli impieghi delle BCC rappresentano il 22,6% dei crediti alle imprese artigiane; l’8,6% alle famiglie, il 17,8 alle micro-imprese familiari.

Lo stock di impieghi delle BCC negli ultimi 22 anni (da quando è in vigore l’attuale Testo Unico Bancario) – un terzo dei quali caratterizzati dalla più profonda recessione del dopoguerra – è cresciuto di sette volte (meno di tre nel resto dell’industria bancaria). Anche la raccolta si è incrementata ogni anno ad un ritmo di circa due punti percentuali superiore a quello registrato nelle altre banche. La quota di mercato media sugli impieghi è più che raddoppiata (dal 3,4% del 1993 al 7,3% del 2014) mentre quella sulla raccolta è passata dal 6 all’8%.

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