Economia
Rifò, una B-Corp per i “cenciaioli” di Prato
La società ha avviato una produzione antispreco che lavora con cashmere, lana, cotone e jeans di seconda mano e in collaborazione con 15 produttori locali. On line la quinta puntata della serie sulle esperienze più innovative di imprese sostenute grazie all'impact investing. Un progetto in collaborazione con Social Impact Agenda per l'Italia (SIA)
Il cenciaiolo non era un semplice venditore ambulante di stracci vecchi: raccoglieva i cenci usati e gli scarti tessili, li divideva per colore e consistenza, ne rigenerava le fibre e creava nuovi tessuti da rivendere. Praticava l’arte del riciclo, a quel tempo dettata dal buonsenso, fondamentale nei periodi di scarsità delle materie prime. Arte che oggi, grazie al recupero di questa tradizione artigiana, ha permesso a Rifò, B-Corp nata a Prato nel 2018, di sviluppare un modo alternativo di fare abbigliamento. «I cenciaioli avevano molto da insegnarci in termini di sostenibilità», afferma Niccolò Cipriani, founder della società.
Rifò, che in toscano significa proprio “rifare”, propone un modello circolare per la produzione e la commercializzazione di capi di abbigliamento in fibre rigenerate, derivate da vecchi indumenti o scarti industriali. Riconosciuta come impresa a impatto, è stata finanziata da a-Impact, fondo di investimento per lo sviluppo di Pmi e startup innovative che operano con l’obiettivo di generare un impatto positivo su ambiente e società. «Il fondo» racconta Cipriani, «ci aiuta a mantenere l’impatto al centro dei nostri processi organizzativi». Per Rifò impatto significa tre cose: qualità, sostenibilità e responsabilità. «Qualità è lavorare sul territorio a km 0» , spiega Cipriani, «con imprese artigiane a gestione familiare. È offrire opportunità di lavoro equamente remunerate al distretto di Prato e produrre fuori dalle logiche di stoccaggio, privilegiando le piccole quantità e la prevendita». Sostenibilità, invece, è utilizzare materiali riciclati — principalmente cashmere, cotone, lana e jeans — per creare capi nuovi ed etici che abbiano le stesse qualità dei prodotti originali. «Recuperare gli scarti tessili e trasformarli in un filato ha un impatto ambientale decisamente inferiore rispetto alla produzione di un filato vergine», sostiene Cipriani. La produzione di un maglione di cashmere riciclato consuma infatti il 65,5% di acqua e il 68,2% di energia in meno della produzione di un maglione in fibra originale e consente di risparmiare l’83,5% di emissioni di CO2. «Responsabilità – infine – è integrare socialmente, attraverso il lavoro, le persone vulnerabili e i migranti che abitano nel nostro territorio». Per questo Rifò ha appena avviato un progetto di inclusione e formazione per esperti cenciaioli (“I nostri panni”).
Spiega l’imprenditore: «Misuriamo il nostro impatto attraverso diversi indicatori: il numero di imprese artigiane locali coinvolte nella nostra produzione (15 nel 2021, che si trovano in un raggio di meno di 30 km); la quantità di cashmere, lana e jeans raccolti e riutilizzati (nel 2021, 187 kg fra lana e cashmere; 986 kg di jeans); la percentuale di fibre riciclate sul totale dei tessuti utilizzati (il 92%); il numero di persone vulnerabili a cui offriamo un’opportunità di lavoro».
«Ormai nel mondo si è prodotto talmente tanto, da poterci fermare e riutilizzare qualcosa che già esiste», conclude Cipriani: «Oggi il mercato è cambiato ed è pronto ad accogliere una moda alternativa alla fast fashion: rigenerata, green e circolare».
Nella foto: un cenciaiolo taglia un lembo di cotone da riciclare
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