Sostenibilità

Rifiuti: agenzia ambiente Foggia, incenitori estrema ratio

Parla il presidente dell'Agenzia della Capitanata Carlo Casamassima: «Bruciare solo dopo aver onestamente tentato tutte le strade»

di Giampaolo Cerri

In occasione della presentazione del ?Rapporto Rifiuti 2002? da parte dell?Agenzia per la Protezione dell?Ambiente e per i Servizi Tecnici e dell?Osservatorio Nazionale sui Rifiuti e di Ricicla, in corso in questi giorni a Rimini, si registrano molti interventi sul tema della gestione virtuosa delle nostre immondizie. Ecco un contributo di Carlo Casamassima, presidente delle Agenzia Provinciale per l?Energia e l?Ambiente della Capitanata, recentemente costituita a Foggia. «Da quel rapporto», dice Casamassima, «risulta che gli Italiani producono annualmente circa 500 Kg di immondizia a testa (il Sud si ferma a 450 Kg pro-capite), ma raccolgono in maniera separata (avviando a recupero) una quota estremamente variabile che va dal quasi 25% del Nord al 2,4% del Sud. La Puglia si colloca al 3,7%, producendo un dato di larga insufficienza e la Provincia di Foggia, in particolare, risulta fanalino di coda con lo 0,8% a fronte del 5,6% di Lecce, del 4,8% di Bari, del 2,6% di Brindisi e dell?1,9% di Taranto: solo 2.373 tonnellate di rifiuti riutilizzabili, per la nostra Provincia, a fronte di ben altre disposizioni di legge che fissano al 35% per fine 2002 l?obiettivo derivante dal Decreto Ronchi». «Si riapre, quindi», secondo Casamassima, «una volta di più il dibattito sulla maniera ?migliore? di gestire le scottanti questioni legate all?immondizia che produciamo e sembra entrare nell?occhio del ciclone la metodologia di raccolta differenziata in tutto il Sud Italia.Alcuni osservatori, peraltro, colgono l?occasione per un attacco frontale alla ?filosofia? della differenziazione dei rifiuti, avanzando serie riserve sulla validità stessa del concetto di recupero dei materiali e proponendo, in alternativa, la termovalorizzazione (cioè l?incenerimento dei rifiuti) quale soluzione ottimale per il prossimo futuro». Seconda il presidente dell’Agenzia, «dal Ministero dell?Ambiente a diversi esperti e tecnici del settore avanza la richiesta di una totale inversione di rotta che, tentando di ?smontare? il Decreto Ronchi, tende a produrre nuove regole, in uno spirito di deregulation, in verità assai inquietante. Proviamo sommessamente a fare ordine nella vicenda cercando di ripartire da dati precisi e dal tentativo di approfondire situazioni, contesti, prospettive». Secondo Casamassima, «Il dato della Puglia non deve essere letto in maniera monolitica: la realtà è molto più articolata e presenta, nella nostra Regione, aree di grandi difficoltà gestionali alternate ad isole felici che, se non altro, dimostrano la necessità di comprendere i motivi dei fallimenti. Fra questi, il più importante è sicuramente legato ai grandissimi ritardi accumulati dalle Pubbliche Amministrazioni nella direzione di una più volte auspicata consociazione: la forza principale di un efficiente sistema di raccolta differenziata sta, innanzitutto, nella gestione comune del sistema, riducendo i costi per i Comuni e massimizzando i ricavi. Solo da pochi giorni la strada intrapresa quattro anni fa dal Bacino Fg/4 comincia ad essere seguita dai Comuni appartenenti ai quattordici bacini previsti in Puglia dal Piano Regionale. I dati in crescita della differenziata in quel bacino e le percentuali registrate negli ultimi mesi in alcuni dei Comuni consorziati (sino al 16-17% nel mese di ottobre 2002), dimostrano che quella è la strada giusta da seguire». Il presidente dell’Agenzia «la raccolta differenziata non è un costo aggiuntivo, ma è un costo sostitutivo.. Bisognerebbe smetterla con la propagazione di notizie superficiali se non addirittura false secondo cui la differenziazione dei rifiuti rappresenta solo un fiore all?occhiello che produce, però, costi per la comunità e fastidi per gli Enti: laddove le strategie sono efficaci ed efficienti (ed anche da noi ci sono realtà avanzate!) si può facilmente dimostrare che recuperare risorse dal ?cassonetto? è possibile oggi più che nel passato, con costi sopportabili e vantaggi derivanti dal mancato smaltimento in impianti complessi e costosi e ricavi derivanti dai rimborsi del CONAI». La termovalorizzazione, dice Casamassima, «è uno dei sistemi previsti -anche dal Decreto Ronchi- per non disperdere le potenzialità dei rifiuti. Non si tratta quindi di schierarsi pro o contro l?incenerimento a scopo energetico, bensì di capire a che livello della gestione dei rifiuti collocare, eventualmente, tale metodica. E qui si impongono ulteriori precisazioni. Come si comincia a capire chiaramente, da una ipotetica massa di rifiuti prodotti è possibile estrarre a monte un 10-15% di materiali ?nobili? (carta e cartone, plastiche, alluminio, ferro ed altri minerali?) con una raccolta separata fatta intelligentemente. Un altro 10-15% può provenire dalla raccolta della frazione organica fatta a domicilio e presso le grandi utenze, sempre, quindi, con un procedimento di separazione a monte. Un altro 3-5% (in genere metalli) si può ricavare da una selezione meccanica dei rifiuti conferiti presso impianti di selezionamento, già diffusamente presenti nel nostro territorio. Con lo stesso procedimento è possibile discriminare e trattare un ulteriore 30-35% di materiale umido che seppure non utilizzabile per produrre compost, può dare origine al cosiddetto ?fos?, frazione organica stabilizzata, utile per le coperture delle discariche e per i ripristini ambientali (quando le discariche non saranno più attive). Si tratta a tutti gli effetti di una quota di circa il 60-65% di ?non rifiuti? ricollocabili altrove con svariati vantaggi economici e/o ambientali. Considerando una quota del 7-8% riferibile ad una ?perdita di processo? ed un 10% circa che andrà comunque collocato in discarica, avanza ?o avanzerebbe, con una gestione corretta- solo il 30-35% della massa iniziale che, in quanto frazione secca, risulta idonea a costituire ?cdr?, combustibile da rifiuti? che potrebbe prendere la via del termovalorizzatore. Quando si parla di termovalorizzazione, quindi, bisogna essere chiari su un punto: il processo ha senso (economico ed ambientale) solo se riferito a questo terzo scarso della massa iniziale dei rifiuti, dalla quale sia stata oculatamente sottratta la grandissima parte della carta, del vetro, del legno, della plastica, dei metalli e, naturalmente, dei materiali pericolosi. Se, invece, taluni proponessero di ?bruciare? per produrre energia senza accollarsi l?impegno di una efficiente raccolta differenziata a monte, innescherebbero dinamiche antieconomiche e soprattutto antieducative. 4. Incenerire indiscriminatamente non produce energia, ma determina dispersioni dell?intero sistema: bruciare plastica, infatti, può dare l?illusione di risolvere un problema, ma ?in questo contesto- determina la necessità di uno spreco da due a otto volte maggiore per produrre altra plastica, ad esempio. Del resto, immaginarsi impianti di termovalorizzazione ?piccoli? e delocalizzati significa non tener presente che quegli impianti funzionano bene solo se complessi e di grandi dimensioni. Essi andrebbero previsti, quindi, per bacini che non possono ovviamente essere gli stessi delineati per la raccolta e lo smaltimento di quanto prodotto da popolazioni variabili da 150 a 400 mila abitanti». La conclusione è che «siamo in ritardo, quindi come meridionali e come pugliesi, in particolare sui tempi e sui modi di un recupero intelligente dei rifiuti. Non facciamo l?errore, però, di ?buttare il bambino con l?acqua sporca?, come si dice. Evitiamo anche di convincerci di superficiali enunciazioni quale quella secondo cui la Capitanata avrebbe bisogno di molta più energia, quando, invece, probabilmente ciò che produrremo nel prossimo futuro servirà soprattutto alle necessità di altri territori». Infine, «nel momento in cui, nel settore rifiuti, cominciano ad attivarsi anche da noi dinamiche virtuose e costruttive, non facciamoci abbagliare da facili scorciatoie che non farebbero altro se non spostare (e magari aggravare) il problema». «Bruciare si può», conclude, «probabilmente si deve o si dovrà. Ma solo dopo aver intelligentemente, ostinatamente e diligentemente seguito le strade che altri hanno percorso prima e meglio di noi, ricordandoci di valutare le dinamiche energetico-ambientali in una contestualità più generale, con l?obiettivo di difendere bene il nostro territorio insieme alle nostre tasche».


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