Europee 2024

Rifare l’Europa, a partire dall’economia sociale

È la prima sfida per costruire un’Europa più giusta e solidale, e restituire ai cittadini il senso comune di sentirsi europei. Riprendiamo l'intervento del presidente di Cecop-Cecopa (Confederazione Europea delle Cooperative Industriali di Lavoro e servizi) pubblicato su VITA magazine di maggio

di Giuseppe Guerini

Con le elezioni del Parlamento europeo, che si terranno dal 6 al 9 giugno prossimi, si avvierà il percorso che entro la fine dell’anno porterà all’insediamento della nuova Commissione europea che da un lato dovrà portare avanti le linee generali della programmazione pluriennale del settennio 20212027; dall’altro dovrà avviare il percorso che traccerà le linee programmatiche e il perimetro economico finanziario del settennio successivo.  Sì, perché una delle particolarità della complessa architettura istituzionale dell’Unione europea è la rigida strutturazione di quello che si chiama “quadro economico finanziario pluriennale” che si compie appunto su cicli di 7 anni, sui quali si sviluppano anche le conseguenti programmazioni dei fondi strutturali europei. 

Questa strutturazione che per decenni è stata interpretata in modo tanto rigido e nella stagione 2008 -2011 non solo è arrivata a mettere in ginocchio la Grecia, ma è stata sul punto di far fallire il progetto della moneta unica, sotto il peso della speculazione finanziaria e delle politiche di austerità, fino al fatidico luglio 2012 e al dirompente whatever it takes di Mario Draghi. Dirompente perché di fatto ha aperto la strada a un cambiamento di approccio che, pur senza modificare i trattati fondativi dell’Unione europea, ha portato nel 2020 all’avvio di Next Generation Eu e di una serie di misure straordinarie di risposta alla crisi innescata dalla pandemia di Covid, che per la prima volta nella storia dell’Unione, sono state finanziate sostanzialmente mediante la creazione di un debito comune garantito dalla Commissione europea. 

La spesa pubblica, anziché essere contratta è stata incentivata come strumento per la ripresa tramite l’attivazione di un meccanismo europeo di solidarietà che ha comportato la sospensione delle politiche di austerità. Dopo gli anni dominati dai vincoli imposti da Bruxelles per limitare il più possibile l’intervento dello Stato in economia, e basati sul primato della competizione di mercato, l’effetto della pandemia è stato di rilegittimare l’azione pubblica in nome dell’interesse generale. E questo è naturalmente avvenuto all’interno di una visione che ha riabilitato il ruolo di indirizzo delle politiche pubbliche. 

 Un nuovo modello di sviluppo

Dovrebbe bastare questo dato, che invece mi pare molto sottovalutato nel dibattito di avvicinamento alle elezioni europee, per fare una prima valutazione dei risultati della Commissione presieduta da Ursula von der Leyen, che tuttavia non si è limitata alla rimozione del tabù del debito comune o all’allentamento dei limiti posti al deficit pubblico, ma ha contribuito a modificare la visione strategica delle politiche europee, sviluppate attorno a chiare priorità: la doppia transizione ecologica e digitale e il Pilastro europeo dei diritti sociali. Su queste tre direttrici si sono avviate iniziative europee di politica economica, industriale e sociale che hanno finalmente, dopo anni di ricette neoliberiste, mutato direzione al pensiero che pretendeva di tenere la politica fuori dai mercati, limitandosi ad assicurare il funzionamento efficiente del mercato unico, facendo della politica sulla concorrenza la principale se non unica politica comune europea, considerando che la politica monetaria comune riguarda 20 Paesi su 27.  Lungo quelle tre direttrici si incardina anche il Piano d’azione per l’economia sociale, che certamente trova una solida base politica nel Pilastro europeo dei diritti sociali, ma è entrato a pieno titolo nella rinnovata politica industriale europea, che ha riconosciuto l’economia sociale e di prossimità come uno degli ecosistemi che definiscono il panorama dell’industria dell’Unione, definendone il ruolo di infrastruttura produttiva e di innovazione.  

 I ripensamenti di von der Leyen

Certo non mancano contraddizioni, conflitti e persino ripensamenti, come sta accadendo per il  Green Deal, con l’ambizioso e costoso obiettivo di ridurre le emissioni climalteranti del 55% entro il 2030,  facendo dell’Europa il primo continente a neutralità carbonica: per i primi tre anni del mandato è stato celebrato ed enfatizzato da quella stessa Ursula von der Leyen (consiglio di rileggere il discorso d insediamento del 2020 e i discorsi sullo stato dell’Unione del 2021 e 2022) che da qualche tempo non perde occasione per prenderne le distanze dopo che la crisi energetica e le guerre hanno trasformato in conflitto sociale le resistenze al cambiamento di alcune rappresentanze dell’economia reale che ritengono di essere penalizzate più di altri dalle trasformazioni imposte dalla transizione ecologica, prontamente strumentalizzate ai fini elettorali da alcune forze politiche.  Non meno preoccupanti si annunciano i ripensamenti riguardo degli investimenti sul Piano della coesione sociale a fronte dell’arrembante campagna guerrafondaia che sta pericolosamente crescendo, con un forte orientamento all’espansione della spesa militare, che viene sostenuta, senza che si stiano realmente facendo passi avanti per dotare l’Unione europea di una politica estera comune e di una politica comune della difesa. Quello che si chiude è stato quindi un mandato di straordinaria importanza che sembrava avere rilanciato una dimensione nuova dell’Unione europea centrata su sostenibilità, innovazione, coesione e giustizia sociale, ma rischia di finire con un ripiegamento deludente, a cui si sta cercando di porre rimedio con i due rapporti di analisi e proposta, affidati a Enrico Letta e Mario Draghi, rispettivamente da Consiglio europeo e Commissione. Due documenti importanti e orientati a un rilancio del progetto europeo e del mercato unico. Ma due documenti che seppelliscono anche la “Conferenza sul futuro dell’Europa” celebrata con tanta enfasi tra il 9 maggio 2021 e il 9 maggio 2022, come grande esercizio di partecipazione e coinvolgimento dei cittadini europei ma prontamente accantonata a febbraio 2023 e ormai direi finita nell’oblio della politica.  Ancorché occorre riconoscere che il rapporto Letta, pubblicato il 16 aprile, si conclude con la proposta di istituire una conferenza permanente dei cittadini. 

Le nuove regole di bilancio (nuovo patto di stabilità) sono ormai orientate verso una nuova ondata di tagli ai bilanci pubblici in tutta Europa, tagli che probabilmente provocheranno un arretramento della “dimensione sociale” nell’agenda strategica europea sempre più concentrata su competitività, produttività e difesa. Temi non trascurabili ma che abbinati al ritorno delle restrizioni sulla spesa pubblica, rischiano di essere perseguiti a scapito di coesione sociale e sostenibilità. Difficile immaginare che l’incremento degli investimenti per la difesa e per il sostegno alle produzioni tradizionali, si possa realizzare senza ridurre gli investimenti nei servizi pubblici essenziali e nelle reti di sicurezza sociale, congelando gli investimenti in un’economia resiliente e sostenibile. Deregolamentare e sovvenzionare le grandi imprese senza vincoli è una ricetta sicura per disastri economici, sociali e politici a venire.

 Pilastro sociale: la road map

Restano infatti ancora da attuare gran parte delle azioni previste dal Pilastro europeo dei diritti sociali, che vanno dalla strategia europea sul lavoro di cura, a quella per il contrasto alla povertà e all’esclusione sociale, dalla strategia europea per le disabilità a quella per l’housing sociale, dalle politiche per la protezione dell’infanzia, a quelle per il sostengo all’occupazione e alla transizione delle competenze.  Tutte azioni che sono contenute nella programmazione pluriennale e che il prossimo Parlamento e la prossima Commissione avranno la responsabilità di decidere come attuare o come ridefinire.

Tutto questo per dire che le prossime elezioni europee davvero rappresentano uno snodo fondamentale per il futuro dell’Europa e per il nostro futuro dentro il quale si devono collocare anche le attese e gli orientamenti delle organizzazioni dell’economia sociale e della società civile, affermando con sempre maggiore convinzione che tutto quanto ci riguarda e non può essere limitato ad una “politica di settore”. 

Va riconosciuto che l’attenzione delle istituzioni europee verso l’economia ha fatto notevoli  passi avanti e proprio durante questo mandato si sono ottenuti risultati significativi, che sono ben rappresentati dal “Piano d’azione per l’economia sociale” presentato dalla Commissione europea a dicembre 2021 e dalla relativa e conseguente Raccomandazione agli Stati membri, adottata dal Consiglio a novembre 2023. Due testi che portano a compimento un percorso avviato con la “Social Business Initiative” del 2011 che, seppure ebbe il merito di accendere il faro sulla dimensione imprenditoriale dell’economia sociale, rimaneva prevalentemente focalizzata su un approccio volto a promuovere l’attività di individui e di imprese (implementando gli investimenti ad impatto sociale) nella gestione di problemi di interesse collettivo, con la valorizzazione di risorse private e del volontariato civico, come leve per innovazione sociale volte a compensare le distorsioni della finanza speculativa.

«Un’economia che funzioni per le imprese e per le persone»: è stato lo slogan di missione del vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis, responsabile delle questioni economiche, ma è stato soprattutto il commissario Nicolas  Schmit, che attraverso il Piano d’azione ha riconosciuto che l’economia sociale, ovvero associazioni, cooperative, fondazioni, mutue e imprese sociali, costituiscono effettivamente e concretamente una «economia al servizio delle persone» utile al perseguimento degli obiettivi della strategia dell’Unione. Seppure nel quadro di una vasta eterogeneità dei regimi giuridici degli Stati membri, il concetto di economia sociale ha consolidato i suoi requisiti identificativi: la natura privata, l’indipendenza dai poteri pubblici, il primato delle persone e delle finalità sociali e ambientali rispetto alla ricerca del profitto, i vincoli di impiego e destinazione dei profitti o dei patrimoni in attività di interesse collettivo o generale, e infine la governance democratica e partecipata. 

Il “Social economy action plan”, pur non essendo un atto legislativo, è uno strumento di più ampio respiro di un atto di indirizzo politico e comprende più di 60 azioni, organizzate attorno a tre assi: i fattori abilitanti per lo sviluppo dell’economia sociale; il ruolo nell’ambito delle transizioni ecologica e digitale; il miglioramento della conoscenza e consapevolezza circa le potenzialità dell’economia sociale. 

Tra le azioni previste ricordo quelle relative alle politiche per il sostegno e l’incentivazione dei soggetti dell’economia sociale con particolare riferimento alla partecipazione ai mercati pubblici; il miglioramento dei regolamenti, ma soprattutto delle pratiche di applicazione, in materia di aiuti di Stato; l’incoraggiamento a migliorare le misure fiscali; l’accesso ai finanziamenti. Proseguendo poi con il contributo che dall’economia sociale può arrivare allo sviluppo della strategia industriale europea con particolare riferimento alla doppia transizione green e digitale.

Le proposte del Piano d’azione trovano ulteriore impulso nella “Raccomandazione sullo sviluppo delle condizioni quadro dell’economia sociale”, adottata dal Consiglio europeo lo scorso novembre allo scopo di trasferire ai governi nazionali la responsabilità di dare attuazione alle politiche proposte dal Piano. Senza riprendere ampiamente i contenuti, richiamo qui l’importanza dell’attenzione che la Raccomandazione ha riservato al tema della tassazione, che essendo materia di competenza prevalente nazionale, richiama gli Stati membri a considerare la leva fiscale come strumento utile a promuovere l’economia sociale, mettendo a disposizione due documenti di analisi sui sistemi fiscali vigenti e sulle sentenze della Corte di giustizia europea che hanno rilevato trattamenti fiscali discriminatori a scapito dell’economia sociale. 

 Enti sociali: scendete in campo

Piano d’azione per l’economia sociale, Raccomandazione, Strategia industriale e Strategia europea sul lavoro di cura sono quattro documenti su cui, la società civile e le formazioni sociali,  potrebbero sviluppare una agenda di proposte e richieste su cui aprire il dibattito con i candidati alle prossime elezioni europee, suggerirei di partecipare agli incontri della campagna elettorale portandosi una sintesi di questi documenti per chiedere su quali obiettivi e verso quale direzione vorranno impegnarsi i partiti politici in competizione nel corso del prossimo mandato.

Servirà a comprendere se davvero, come temo, si allenterà l’attenzione per i temi sociali all’interno delle istituzioni dell’Unione europea o se invece si riuscirà a resistere. E servirà anche a capire se i sentimenti antieuropeisti che sono riemersi proprio quando l’Europa sembrava avviarsi verso una maggiore integrazione e capacità di solidarietà, ci consegneranno istituzioni più divise e di conseguenza un’Europa a vocazione intergovernativa, più debole e certamente meno rilevante nella competizione globale. 

Io credo che sia nostro dovere, come esponenti delle formazioni sociali europee, ribadire che per noi continua a essere fondamentale l’impegno per un futuro basato sullo sviluppo sostenibile e sul progresso economico e sociale, pretendendo che attraverso l’Unione europea rilanci la sua primaria aspirazione alla pace, ricercata attraverso la capacità di cooperazione, il rispetto della democrazia, la promozione della solidarietà, la valorizzazione delle diversità, l’innovazione e la partecipazione dei cittadini e delle formazioni sociali.

Tutte le reti e le organizzazioni di rappresentanza della società civile europea stanno naturalmente elaborando proposte e documenti per un agenda politica per le elezioni europee, e tra queste naturalmente troviamo i dossier che riguardano l’Economia sociale per la quale, proprio per evitare i rischi di un rallentamento o addirittura di una graduale estinzione dell’interesse, molte voci hanno fatto propria la proposta, contenuta nella dichiarazione di Liegi del febbraio 2024, che richiede che la prossima Commissione europea preveda di nominare esplicitamene un Commissario che abbia l’economia sociale come competenza dichiarata. 

Altrettanto importante sarà richiedere ai parlamentari l’impegno a confermare la ricostituzione dell’intergruppo del Parlamento europeo per l’economia sociale, che in questi anni ha avuto una funzione molto importante nel costruire il consenso coinvolgendo le diverse forze politiche presenti in Parlamento.  

La ricostituzione dell’intergruppo parlamentare faciliterebbe le relazioni con le formazioni sociali e le reti di rappresentanza dell’economia sociale, agendo anche da stimolo affinché non venga meno il sostegno da parte della prossima Commissione, che bisognerà incalzare per dare attuazione sia al Piano d’azione per l’economia sociale, sia per il monitoraggio dell’implementazione della Raccomandazione negli Stati membri.

 Le responsabilità italiane

Concludo con qualche considerazione anche per il nostro Paese che a sua volta, avendo approvato la Raccomandazione e sottoscritto le dichiarazioni di San Sebastian e di Liegi, ha la responsabilità di implementarne azioni e impegni.

In questa direzione si potrebbero coordinare le diverse politiche che sono già in grado di soddisfare le richieste della Raccomandazione del Consiglio europeo, rendendone effettiva l’applicazione e l’esigibilità della riforma del Terzo settore sia nell’attuazione  con il completamento delle parti che riguardano la fiscalità  sia nell’inquadramento, ricollocandola in una cornice di riferimento che potrebbe essere ad esempio una legge quadro sull’economia sociale, utile anche ad allineare alcune definizioni concettuali con quelle in uso in altri Paesi, dove il concetto di Terzo settore non è consolidato (per non parlare delle sfumature tutte italiane, che fanno riferimento a definizioni come “economia civile”, “economia di comunione”, “economia solidale”).  

Sarà necessario lavorare per migliorare le modalità con cui si applicano in Italia (in particolare nelle Regioni), le norme sugli aiuti di Stato e sul regolamento generale per le esenzioni (Gber) interrompendo la consuetudine di appellarsi al regolamento de minimis per limitare l’accesso a misure di sostegno agli enti dell’economia sociale. In questa direzione servirebbe un riferimento all’adozione di provvedimenti per riconoscere la condizione di incaricati per la realizzazione di servizi di interesse economico generale agli enti dell’economia sociale che realizzano servizi  che perseguono finalità di interesse collettivo.

La partecipazione al voto è un appuntamento di grandissima importanza,  le scelte che faranno i cittadini nei 27 Stati dell’Unione avranno molti più effetti sulla nostra vita quotidiana, di quanto comunemente si creda  soprattutto rispetto a quanto emerge dal dibatto politico sui mass media e sui social network, prevalentemente concentrati sulle narrative di posizionamenti di bandiera, sulla personalità o “attrattività” dei candidati e poco o niente dedicati ai contenuti e agli orientamenti sulle sempre più importanti e concrete materie che si  decideranno nei prossimi anni tra Bruxelles, Strasburgo (e Francoforte).  Materie complesse e di cui non si parla e si scrive abbastanza. Prendiamoci allora l’impegno di farlo noi come attori del Terzo settore e dell’economia sociale.   

Foto La Presse: Valdis Dombrovskis, vicepresidente uscente, a sinistra, con Ursula von der Leyen, presidente uscente della Commisione europea

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