Economia

Riecco le privatizzazioni, sarà la solita storia?

Andrea Rapaccini fondatore e Segretario Generale di Make a Change spiega il bisogno « di nuove forme di impresa che superino la dicotomia tra Stato e mercato»

di Andrea Rapaccini

Tradizionalmente sui temi di politica economica e sociale siamo portati a ragionare con una logica binaria, senza comprendere che il sistema è diventato più complesso. Dovremmo invece chiederci (e in fretta!) se quello che ha funzionato sino a ieri potrà funzionare anche domani; dovremmo aprirci a modelli diversi, in modo particolare quando ci occupiamo di privatizzare i nostri beni comuni, come i servizi pubblici locali , le infrastrutture dello Stato, l'istruzione, la cultura, la sanità. Dovremmo superare questa dicotomia oramai più che obsoleta fra statalismo e liberismo e affermare il principio che un'azienda privata possa svolgere una funzione pubblica anche meglio del pubblico; ovvero, che non è necessaria una proprietà pubblica perché un business possa essere gestito nell'interesse della comunità, a patto però che la missione pubblica dell'azienda sia garantita nel tempo e difesa da derive speculative.

I rischi di quest’ultimo punto non sono stati ancora sufficientemente sottolineati dai leader politici o dagli amministratori pubblici. Pensiamo ad esempio  ma la lista può essere molto lunga…) a quello che è successo nel processo di privatizzazione delle municipalizzate. Aziende il cui oggetto sociale era di garantire il miglior livello di servizio al cittadino al prezzo più competitivo e facendo quadrare i conti, sono state trasformate con l'ingresso dei privati, e spesso con la quotazione in borsa, in organizzazioni che puntano alla massimizzazione del ritorno del capitale (o del valore del titolo) attraverso la vendita di servizi ai cittadini. I cittadini, quindi, da beneficiari finali dell'attività d'impresa sono diventati mezzo per garantire il ritorno del capitale, e specularmente, il profitto da strumento per garantire la sostenibilitá economica dell'azienda è diventato il fine. Le aziende hanno de facto cambiato la missione per le quali erano state costituite, senza peraltro passare attraverso un cambiamento formale dell'oggetto sociale.

Come fare quindi perché anche il prossimo processo di privatizzazione non rischi di essere realizzato nell'interesse del capitale e non dei cittadini, ovvero nell'interesse di pochi e a scapito di molti?

Quello che manca alla nostra politica economica e al nostro impianto giuridico è un modello di economia sociale che consenta ad investitori istituzionali e fondi di investimento non speculativi di finanziare modelli di privatizzazione regolata. Questi modelli possono essere rappresentati da imprese sociali di capitale, nei quali la missione di pubblica utilità rimane centrale nell'oggetto sociale ed il ritorno sul capitale è regolato, con obbligo di non distribuire ai soci una porzione significativa degli utili prodotti. Tali forme imprese, che devono applicare modalità gestionali obbligatoriamente trasparenti e responsabili socialmente, possono svolgere un ruolo importante in quello che può essere definito un "nuovo modello di welfare privato sostenibile".

In Inghilterra tali sistemi sono già presenti da anni attraverso la big society e le community interest companies, in Francia è entrata in vigore da pochi mesi la nuova legge per economia sociale e solidale (ESS) e l'Europa si appresta ad erogare oltre 800 milioni di Euro per promuovere lo sviluppo di una nuova forma di capitalismo temperato non più guidato dalla finanza. Molti paesi al mondo stanno pensando di ristrutturare il loro sistema di welfare pubblico con modelli che integrano una missione pubblica all'interno di una gestione privata; persino gli Stati Uniti , dove il capitalismo finanziario ha raggiunto il suo "massimo splendore" si stanno muovendo in questa direzione con l'estensione della legge sulle L3C ( low profit companies) a diversi Stati dell'Unione.

Guardando in casa nostra siamo sorpresi che questo Governo, che pure dovrebbe avere al proprio interno una mediazione costruttiva tra due posizioni ideologiche diverse in materia economica e sociale, non sia attento a questi nuovi modelli e continui invece a inserire nella legge di stabilità ricette appartenenti al secolo passato. Il business sociale non è ne di destra, ne di sinistra. È un strumento per una nuova risposta alla crisi economica e sociale mondiale.

Cosa fare in concreto ? Modifichiamo subito la nostra legge sull'impresa sociale (d.l.155/2006) rendendola più attrattiva per i grandi investitori internazionali e consentiamo alla Pubblica amministrazione centrale e locale di privatizzare i beni comuni utilizzando modelli di impresa non speculativi. Un nuovo sistema  di collaborazione tra pubblico e privato si rende assolutamente necessario per far fronte a questa crisi mondiale, che non è solo finanziaria e di mercato, ma soprattutto di "impianto" economico e sociale.

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