È una nuova cultura che deve passare nella lotta alla tossicodipendenza, fatta di precise indicazioni, i ragazzi devono poter capire cosa è bene e cosa è male, non è tutelando l’illegale e il dannoso che la situazione migliorerà. E allora il mio pensiero va al centro di bassa soglia “In & Out” (Drop in) finanziato dall’assessorato alla Famiglia e Solidarietà sociale della Regione Lombardia, all’idea diversa di accoglienza e sostegno ai più poveri e disagiati, ad una risposta di riduzione del danno diversa che cerchiamo di portare avanti qui a Pavia da due anni.
Nell’ultimo anno (da aprile 2008 ad aprile 2009) abbiamo accolto 10.501 persone, dei quali 185 nuovi arrivi. Il centro è stato aperto per 255 giorni per 1.487 ore di servizio: 5 persone accompagnate e seguite in corsi professionali, 20 inserite nel mondo del lavoro, tutte persone che hanno trovato nel centro ascolto e un sostegno concreto. Tutte persone che erano classificate dai più come croniche e senza futuro. Alcuni di loro, attraverso progetti personalizzati, hanno iniziato a lavorare, seguendo corsi di formazione appositi e tenendosi in questo modo lontani da condotte devianti e problematiche per la società e per sé prima di tutto. Ma tutto questo ha bisogno di sostegno, di impegno concreto, di continuità. Le 1.271 lavatrici industriali, le 1.182 asciugatrici industriali, le 4.107 docce e le più di 8mila colazioni, le 8.405 merende pomeridiane, le 16.010 bevande non possono lasciarci indifferenti rispetto all’importanza di questi servizi e alla necessità che tutto questo possa avere un seguito e una garanzia anche e soprattutto dalle istituzioni. 567 colloqui strutturati individuali, 91 persone accompagnate e monitorate con i servizi pubblici (SerD e CPS), 208 prestazioni mediche e sanitarie offerte, 28 persone inserite nel dormitorio pubblico? Dove sarebbero andate queste persone altrimenti? Come poter ricostruire la propria vita, dopo avere perso tutto, senza avere nemmeno la possibilità di soddisfare i bisogni primari? Spesso mi chiedo come arginare tutto il disagio che devasta i giovani che vivono le condizioni più disperate… La soluzione si trova solo attraverso una presa in carico globale, dove non ci si limiti alla riduzione, alla mera risposta alle esigenze, bensì si punti alla presa in carico dei loro vissuti. Oggi più che mai è indispensabile rivedere la nostra idea di “riduzione del danno”. Mettendo avanti a tutto la promozione di una cultura che aiuti i giovani a credere in loro stessi e che porti molti di loro che si considerano cronici, irrecuperabili, all’idea che qualcosa di nuovo possa sempre accadere, che la speranza sia sempre un faro da cercare.
Ognuno deve prendersi le proprie responsabilità, non è più il tempo delle deleghe, è ora di agire.
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