Welfare
Ridare dignità al lavoro sociale: un imperativo politico e civile
Crescono i bisogni sociali, ma specie nelle aree urbane, si fa sempre più fatica a trovare operatori. Risultato? A pagare sono le famiglie più fragili che si ritrovano senza servizi. Un cortocircuito figlio di un sistema che penalizza fortemente la remunerazione e le condizioni di lavoro di chi opera nel welfare. Questi i temi al centro di un incontro promosso da VITA e dal Comune di Milano nell'ambito del Forum del Welfare
“Lavoro sociale, lavoro povero?” è questa la domanda punto di partenza dell’incontro che si è tenuto a Base Milano, nella cornice del Forum Welfare “Le sfide della città”, l’evento promosso dal Comune di Milano su iniziative dell’assessorato al Welfare guidato da Lamberto Bertolé. Al panel tenuto a Base Milano in una sala stracolma, organizzato con VITA e moderato dal direttore Stefano Arduini, non hanno potuto partecipare i presidenti di Confcooperative e Legacoopsociali Stefano Granata ed Eleonora Vanni, impegnati a Roma proprio nella firma del rinnovo del contratto del settore.
E se il punto di partenza era la domanda del titolo, la risposta da parte di tutti i partecipanti non poteva che essere affermativa, soprattutto in una città come Milano. Se Rossella Sacco, portavoce del Forum del Terzo Settore di Milano, ha riflettuto sulla necessità di un cambiamento anche culturale perché «gli interventi del Terzo settore vanno pensati in un’ottica di corresponsabilità», con una ricaduta pratica: «il riconoscimento economico e professionale». Ma serve anche riconoscere che l’intervento sempre più necessario sui margini e sulle fragilità chiede che la società tutta vi investa perché «crede che questo lavoro fa stare bene tutta la società».
Politiche sociali poco finanziate e sostenute
Sulla stessa lunghezza d’onda anche la presidente del consiglio regionale degli assistenti sociali, Manuela Zaltieri che ha rimarcato come l’impoverimento del sistema di welfare cui si sta assistendo nasca dal fatto che «le politiche sociali sono poco finanziate e poco sostenute». Tra le conseguenze citate il non riuscire «a far fronte a un lavoro sempre più complesso», dove uno dei rischi è la concezione “prestazionale” dei servizi che «dovrebbero invece avere una approccio relazionale».
Nelle università milanesi, Bicocca e Cattolica e in quella di Bergamo non arretra il numero degli studenti che vogliono diventare educatori, come ha sottolineato Cristina Palmieri, direttrice del Dipartimento di Scienze per la formazione della Bicocca tuttavia da sottolineare è il fatto che «i nostri studenti stanno cambiando, sempre meno provengono dai licei e sono in prevalenza diplomati in istituti tecnici o professionali, ma vediamo anche tanti che sono stati utenti dei servizi di comunità». Palmieri ha anche fatto osservare che la maggioranza dei laureati si orienti sul settore dell’infanzia «il 58% di loro lavora nella scuola».
Un settore impoverito
Dopo aver esordito riconoscendo che il sindacato qualche errore lo ha sicuramente commesso, Luca Stanzione segretario della Camera del Lavoro metropolitana-Cgil ha rimarcato «questo è un settore che nel nostro Paese è stato impoverito», da un lato perché le risorse sono andate al privato con una specificazione: «parliamo del welfare pregiato, mentre tutto il resto viene lasciato al Terzo settore» e ha invitato tutti a riflettere sul fatto che un welfare che non mette al centro la persona integralmente non funziona. L’ultimo passaggio il sindacalista lo ha dedicato alle piattaforme di welfare private perché, si è chiesto «non mettiamo le risorse in un fondo pubblico invece?».
Lavoro ad altissima specializzazione ma povero
A mettere il dito nella piaga anche Marco Bentivogli, co-fondatore di Base-Italia che ha sottolineato come quello sociale sia sì un lavoro povero, ma allo stesso tempo «richieda un’altissima specializzazione ma a livello contributivo è bloccato nel settore del terziario che è il più debole su questo fronte». A chiudere il giro di tavolo l’assessore Lamberto Bertolè che ha inserito tra le sfide quella di «far arrivare ai comuni più risorse da impegnare sul fronte sociale» ben consapevole che «il nostro Paese negli ultimi 20 anni ha ciecamente disinvestito nel lavoro sociale e di cura». Occorre dunque «cercare strade nuove anche al di fuori del perimetro della spesa pubblica».
Stimolati dalle domande di Arduini i partecipanti al panel sono stati anche invitati a riflettere sul cosa si potrebbe fare per cambiare sia l’approccio culturale sia la realtà attuale del lavoro sociale. Con la premessa ricordata da Sacco: «Oggi noi stiamo producendo povertà futura, perché i lavoratori sociali avranno pensioni povere. Per questo la risposta deve essere più strutturata a livello di welfare». E ha aggiunto «il mondo produttivo, quello che fa riferimento agli Esg deve costruire con noi del Terzo settore questo pezzo di benessere».
Piattaforme che facciano crescere la S di Esg
Da parte sua Stanzione richiamando il suo primo intervento ha aggiunto «servono i soldi e allora perché accanto alle piattaforme private che erogano welfare non facciamo delle piattaforme pubbliche» e ha portato l’esempio della Fondazione Welfare Ambrosiano – realtà co-partecipata – «che ha fatto un ottimo lavoro. Quella piattaforma già l’abbiamo…».
«Quello che ci schiaccia è l’appiattimento di chi vede solo stato e mercato, bisogna tornare all’Italia di mezzo», ha rimarcato Bentivogli richiamando i tanti problemi di una città Milano che «espelle chi guadagna 1.200 euro al mese». Il suo invito è quello di coinvolgere il mondo delle imprese Esg, rendendo palese la dimensione sociale dello sviluppo «la “s” va ingrandita in tutte le sedi».
Tutte le foto sono ©Comune di Milano
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