Famiglia
Ricostruendo il presente prepareremo il futuro
Le ultime operazioni antimafia in Calabria, in particolare nella Sibaritide, confermano ancora una volta che la “malapianta” ha radici in un terreno che ne garantisce, oltre ad una rapida riproduzione, la disponibilità alla fioritura di nuove colture, con impatti devastanti sul welfare e sul sociale
Ormai si sono ridotte a celebrazioni di rito tutti quegli osanna rivolti a denunciare ogni forma di potere criminale e di sopraffazione. Appena spento il clamore del momento celebrativo tutto ritorna sotto la coltre del “silenzio rimbombante”. Atteggiamenti di rassegnazione si sono incuneati dentro di noi insieme a perenni contese tra gli adoratori del potere criminale inneggianti alle eroiche gesta del padre-padrone, visto come elemento rassicurante e protettivo dinanzi ad un welfare fiacco, e i detrattori del malaffare sempre più impratichiti a garantire un presidio di resistenza e di civismo fin troppo spesso disorganizzato e privo di una chiara visione.
Spesso mi è capitato di ascoltare giovani e meno giovani che vivono in luoghi martoriati dalla presenza del crimine organizzato. È del tutto evidente che le rappresentazioni degli atti banditeschi, oggetto di ripetute narrazioni, siano dispiegate in lungo e in largo: possono originare fascinosa attrazione, magari inorridire e provocare adesioni emotive oppure suscitare prerogative di difesa e rifiuto, se non pure produrre una sorta di identificazione con gli eroi negativi o con le vittime, con chi combatte la ’ndrangheta e oppone resistenza.
Le continue ferite inflitte al territorio sono lasciate sotto la sferza di proclami, perorazioni moraleggianti, fiumi di parole come per un prossimo appuntamento con le urne che necessita di spot politici e mere dichiarazioni di intenti poco incidenti sui reali processi di cambiamento culturale e sociale. Valga per tutti quel che sostiene sulle pagine di Repubblica lo scrittore Isaia Sales: se è esistita una politica senza mafia, non è mai capitato che si consolidi un potere mafioso senza un rapporto con la politica e le istituzioni. Dunque come dire: mai un potere criminale che non sfrutti i rapporti con lo Stato e non disponga di propri rappresentanti.
Le ultime operazioni antimafia in Calabria, in particolare nella Sibaritide, confermano ancora una volta che la “malapianta” ha radici in un terreno che ne garantisce, oltre ad una rapida riproduzione, la disponibilità alla fioritura di nuove colture, ovverosia nuove forme di malaffare che l’attuale crisi sanitaria ed economica finisce ancor più per favorire.
Il portfolio delle ’ndrine è ben articolato: dalle imprese multiservizi (pulizie, disinfezione) al ciclo dei rifiuti, con un’attenzione particolare a quelli speciali, sino ai trasporti, al servizio delle pompe funebri, alla distribuzione di generi alimentari: tutti segmenti di un mercato di cui ben si conoscono trend e proiezioni redditizie, un mercato a cui imporre accordi economici in regime monopolistico.
Si spiega così l’imperversare delle famiglie di ’ndrangheta con le loro attività estorsive e la pervicace abilità ad inquinare ogni settore produttivo in affanno, attraverso l’esercizio di un controllo ossessivo e capillare del territorio.
Ciò è confermato dalla pervasività dei clan della Sibaritide quanto al controllo di aziende agricole, con sperticate truffe ai danni delle agenzie interinali del lavoro e dell’Inps e assurde rivendicazioni del diritto esclusivo nel trasporto remunerativo dei prodotti ortofrutticoli.
Piaccia o non piaccia ammetterlo, il sistema produttivo locale è paurosamente esposto al giogo del riciclaggio e dell’usura e, dunque, del c.d. “welfare mafioso di prossimità”. Imprenditori in crisi di liquidità finiscono vinti dalla “mano invisibile” pronta ad agevolare l’accesso al credito facile. Si aggiunga pure la incresciosa possibilità da parte del potere criminale di farsi proprietari illegittimi di imprese o magari di entrare in partnership, acquisendo asset importanti e dissimulando astutamente la presenza ingombrante non senza il ricorso a “coazioni a ripetere vessatorie”. Così la criminalità finisce per incistarsi in modo stabile e occulto in questi ambiti socioeconomici.
Si pensi pure alle famiglie esposte a fragilità strutturali, i cui componenti campano ad ore senza alcuna garanzia contrattuale o sono percettori di cassa integrazione insufficiente. Queste persone, a fronte di nessuna strategia politica pubblica, tesa a garantire il “minimo dignitoso garantito” – sarebbe immaginifico parlare di adeguati livelli di prestazioni sociali e di opportunità occupazionali – beneficiano della “pancia protettiva” di qualche mammasantissima per l’accesso a diritti altrimenti negati, vedasi ad esempio il diritto alla salute, giacché più volte si è rimarcato il fatto che il discrimine è la variabile tempo nella capacità di risposta alla complessità dei bisogni propri degli ultimi o di chi subisce gli effetti più drammatici dell’attuale emergenza sanitaria.
Si delinea così una chiara strategia di governo dei clan – non viene meno per questo l’engagement di noti professionisti al di sopra di ogni sospetto – per il controllo di interi quartieri delle nostre città.
Si diffonde un ineluttabile fatalismo con il conseguente atteggiamento di rassegnata passività a tali fenomeni malavitosi, purtroppo sorretti da una disattenzione generale a più livelli di responsabilità e da una sorprendente afasia della politica locale, lasciando intravedere a debita distanza un movimento antimafia associabile ad un movimento di opinione o di personalismo astratto lontano dal porre la persona umana come fine della vita associata.
Si avverte il vuoto di un’anima collettiva, di un civismo che mi piace chiamare di resistenza, capace di presidiare ogni spazio indebitamente occupato dagli affarismi delle cosche di contro ad un “sentimento diffuso” di arrendevolezza e di silenzio (assenso!), spesso il terreno fertile per la crescita economica del potere mafioso.
Abbiamo il dovere civico, direi l’urgenza, di creare avamposti di legalità, capaci di visione politica e di opposizione che rinuncino alla tentazione di ridurre tutto a passerella e siano sospinti dal coraggio di “piccole azioni” di denuncia. Abbiamo bisogno di comitati civici spontanei per la promozione di attività atte a contrastare ogni forma di oppressione da parte della criminalità organizzata e di fenomeni di corruzione pubblica.
Serve un nuovo scenario di cittadinanza attiva, non politicizzata, per abbattere il muro della solitudine, capace di farsi scudo attorno a chi coraggiosamente si oppone alle diverse situazioni di ricatto e intimidazione mafiosa, un campo aperto di cittadinanza attiva che sappia tenere alta la guardia contro il rischio di affidare commesse pubbliche ad imprese legate o vicine alle ’ndrine locali, di cui purtroppo si avverte sempre più una inquietante concretezza, destinata ad accrescersi con i miliardi del “Programma Next Generation Eu”.
Soltanto un’azione congiunta, consapevole che il destino di ognuno di noi è strettamente interconnesso con quello degli altri, consentirà di fronteggiare questa grande sfida al potere mafioso. Solo un’etica, comunitariamente avvertita, basata sulla persona umana può far rinascere un nuovo «ordine sociale», incentrato su valori e principi fondamentali del vivere associato, capaci di favorire lo sviluppo integrale della persona umana. Una comunità scompaginata incapace di entusiasmare soprattutto i giovani spinge inesorabilmente verso gli pseudovalori e la negazione del consorzio umano.
È chiesto oggi di rivolgere decisamente lo sguardo verso il futuro e lavorare intensamente alla costruzione di un domani migliore per ogni essere umano e la pandemia che stiamo vivendo in questi tempi non può non averci insegnato quanto sia importante prendersi cura gli uni degli altri e sforzarci di costruire una società più fraterna. Solo così ricostruendo il presente prepareremo il futuro.
*Vicedirettore Caritas Diocesi Cassano All’Jonio
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