Famiglia

Ricordando Tom

Due anni fa la scomparsa prematura di Tom Benetollo, presidente dell’Arci. La sua storia e quella di un’associazione che grazie a lui ha scoperto che la democrazia ha bisogno della società

di Sara De Carli

Due anni fa, la scomparsa prematura di Tom Benetollo, presidente dell?Arci. La sua storia e quella di un?associazione che grazie a lui ha scoperto che la democrazia ha bisogno della società. Diritti di cittadinanza, pace, welfare, cultura? sono i pilastri di una democrazia che non può ridursi all?esercizio del voto. La democrazia del convincimento dal numero 8 di Communitas, “Il sociale muto” di Sara De Carli Tom Benetollo nasce a Vigonza (Padova) nel 1951. Nell?agosto del 1968 ha 17 anni. In un bar della periferia di Padova ascolta Universal Soldier e Paint It Black («la mettevo ossessionatamente nel jukebox perché volevo sentire le parole del primo verso di quella canzone degli Stones, ?Guardo la Porta Rossa e la vedo dipinta di nero?»), «protestavo con tutta l?anima e confusamente sentivo che tutto ciò che veniva schiacciato in quegli anni mi riguardava». Il primo luogo in cui questo sentimento confuso si materializza sono le gambe. L?urgenza è la lotta per la pace. La marcia per la pace da Bologna a Marzabotto, ottobre 1979; i sit-in a Comiso e davanti alle basi americane; la ripresa, nel 1985, della Perugia-Assisi, la prima Carovana per la pace, nel 1991. E poi Palestina e Israele con Salaam ragazzi dell?ulivo e Time for Peace, Berlino, piazza Tian An Men, a Baghdad per parlare con Saddam Hussein, Mosca e la ex Jugoslavia. «Volevamo dare una base politica al nuovo movimento per la pace. Cercammo di dargli anche gambe». Perchè la presenza è più che una testimonianza. Perché con la crisi delle forme tradizionali della politica, sul finire degli anni 80, «si avverte di più il bisogno di concretezza. Bisogna fare, non solo dire». Diceva Benetollo: «Sta nel fare la nostra credibilità e la forza morale, culturale e politica di questo movimento». E di fronte alle critiche di Casini al Movimento per la pace, nel giugno 2003, ha detto: «È vero, ci sono soggetti che pur agendo sui temi della pace criticano il movimento per la pace, e anche con asprezza. Un dibattito legittimo, che però si deve svolgere su un terreno preciso: il terreno del fare. Dell?incompiutezza del fare. Del dover fare». Per questo fino all?ultimo, fino all?ultimo articolo scritto, quello apparso su Carta il 1 luglio 2004, Tom ha ripetuto: «Si deve partire dal territorio». O, in altri termini, «bisogna tornare alla concretezza della storia. Avere il coraggio, con Majakovski, di rimestare la merda dei secoli può aiutarci a trovare i fiori che tuttavia sono nati, nel coraggio di immaginare e praticare un mondo differente». Il futuro nelle radici. A una riunione del Movimento per la pace, nella primavera 2004, Benetollo diceva: «Il cuore pulsante del processo di rinnovamento della politica deve stare nel sociale. I soggetti centrali devono essere sociali. Quando sottolineate che da bocciofila abbiamo fatto diventare l?Arci motore del movimento per la pace e contro il liberismo, è come se sottovalutaste il ruolo importante delle bocciofile come luoghi di socialità». Paolo Beni, che è succeduto a Benetollo alla guida dell?Arci, ha ripreso questo fil rouge, individuando in esso il testimone lasciato da Tom. Al Congresso Nazionale di fine febbraio, il primo del post Benetollo, Beni ha affermato: «Chi ci osserva dall?esterno ha talvolta enfatizzato le differenza fra l?Arci di oggi e quella della tradizione, dimostrando una lettura un po? superficiale del nostro mondo. In realtà io credo che un tratto peculiare dell?Arci di questi anni sia stata invece la capacità di restituire attualità ai valori originari, legarli ai bisogni emergenti e trovarvi le ragioni di un nuovo progetto di cambiamento. Tom Benetollo aveva visto con lucidità questo percorso, ne ha saputo fare un?idea comune, stimolando e accompagnando attorno ad essa la nostra crescita collettiva. Ne abbiamo raccolto il testimone con umiltà e serenità». L?ultima cosa che Benetollo vorrebbe, spiega Beni, sarebbe quella di essere venerato come un leader isolato e demiurgico che plasma con la sua forza una realtà associativa pesante e ingombrante. Tom non è stato questo. «Tom ha visto con lucidità un percorso e ha saputo guidare tutta l?Arci in questo percorso di crescita collettiva, in cui l?intero gruppo dirigente ha creduto. Per questo per noi oggi è facile andare avanti senza fratture con il passato». Anche per Beni quindi il futuro dell?Arci è legato a doppio filo con il suo passato, con i valori di democrazia popolare del movimento operaio, che occorre solamente tradurre in un linguaggio attuale. Il pacifismo: Arci e le altre. La collaborazione con altre associazioni è per Benetollo una abitudine perfettamente consolidata, cominciata ai tempi del pacifismo giovanile, da Comiso a Salaam ragazzi dell?ulivo: il pacifismo cattolico, Capitini, le Acli, gli Scout, «perfino con Comunione e Liberazione facemmo iniziative comuni». Nel 1991, durante la Prima guerra del Golfo, Benetollo e altri si ritrovano a condividere le parole di Giovanni Paolo II: «La guerra è un?avventura senza ritorno». Alcuni settori della sinistra, in quei giorni, tornavano a mobilitarsi in nome dell?antimperialismo. «Noi ci mobilitavamo, invece, perché vedevamo il pericolo che si tornasse a usare la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti internazionali. Francesco Villani, socialista, voleva denunciare me e Rasimelli perché organizzavamo il pacifismo. Walter Vecellio, allora giornalista dell?Avanti!, scriveva sul suo quotidiano che il pacifismo alimentava di fatto il terrorismo. Quando tornammo da Baghdad i dirigenti socialisti dell?Arci chiesero le dimissioni mie e di Rasimelli». Per chi, come chi scrive, nel 1991 aveva 12 anni, questi ricordi hanno dell?incredibile. L?Arci che abbiamo visto noi è innanzitutto l?Arci del pacifismo. Tanto che la bandiera dell?Arci per noi è immediatamente la bandiera della pace, e non, come ricorda invece Benetollo, il verde e il blu della natura accostati ai colori degli esseri umani. Evidentemente questa Arci di oggi ha lottato per esserci. La democrazia del convincimento. Col passare del tempo, il metodo dell?iniziale ?avere gambe? e dello ?stare nella merda della storia? si è fatto, per Tom, sempre più chiaro: nonviolenza e partecipazione. Partecipazione. Parola in voga, oggi, e come in tanti altri casi, se ne parla di più quando manca. Dal 1987 al 2000 l?associazionismo si è sparso a macchia d?olio. Tutte le associazioni hanno raddoppiato i propri iscritti. L?Arci li ha triplicati, arrivando a contare 1milione 150mila iscritti. E al di là delle cifre, sottolineava sempre Bentollo, è aumentata la partecipazione attiva dei cittadini e la qualità del lavoro sociale dell?associazionismo. Bocciofila, associazione di promozione sociale, impresa sociale che sia. Beni oggi afferma che «il valore di cultura civile che sta alle radici della nascita dell?Arci, può essere – oggi – il motore di un nuovo protagonismo. Oggi questo motore si chiama partecipazione. Partecipazione vuol dire affermare una nuova cultura della cittadinanza, affermare l?esercizio collettivo della responsabilità, favorire una consapevolezza di cittadinanza che cresce dal basso. Tutto questo coincide con il fare politica, in senso alto». All?Arci, con 1milione e passa di iscritti, Benetollo praticava «la democrazia del convincimento. I meccanismi pratici di decisione sono tali che impongono che per far passare delle scelte bisogna convincere la maggioranza dei partecipanti alle nostre assemblee». Oggi il documento conclusivo del Congresso dell?Arci ha girato per mesi in 1600 assemblee di circoli, con 35mila soci che hanno preso parte in prima persona al dibattito. «Questo della democrazia del convincimento è un grande tema», dice Beni. «Non riguarda solo le modalità decisionali di un?associazione, per grande che sia, ma tutto il Paese. La crisi della democrazia che oggi viviamo consiste nell?aver fatto coincidere democrazia e democrazia rappresentativa, l?esercizio della democrazia con l?esercizio di voto. Democrazia invece è la capacità di praticare in modo costante e permanente la discussione pubblica. Per far questo è necessario coltivare spazi parti di discussione pubblica: Arci è e sarà uno di questi spazi». E tuttavia. Tuttavia, diceva Tom, «resto convinto che in Italia sia tuttora aperto il problema della modernizzazione della vita sociale. Le vecchie gerarchie sociali sopravvivono accanto alle vecchie gerarchie politiche. Si pensa ancora che la vita associativa debba restare subordinata alla vita politica. La contraddizione irrisolta invece è che la politica ha chiuso le porte alla partecipazione e si trova di fronte alla società civile associata che ha fatto della partecipazione la sua ragion d?essere. Uno dei due interlocutori deve aver torto, se resta l?incomunicabilità tra di loro». La partecipazione quindi per Tom era addirittura più di quello che stiamo dicendo qui: non solo uno strumento o un metodo, ma la ragion d?essere, la condizione e l?obiettivo. Partecipazione e nonviolenza. Partecipazione per Benetollo è ciascuno dei piccoli gesti quotidiani dell?economia alternativa, da ciascun piccolo tassello che fa sì che ?Un altro mondo è possibile? non sia solo uno slogan. Questa cosa si fa sempre più chiara, dentro il Movimento per la pace, ai Social Forum, a Banca Etica. «La scommessa del Terzo settore è riuscire a cambiare un pezzo dell?economia. La novità che rende possibile questa scommessa è la necessità dello sviluppo dello stato sociale. È a tutti evidente che c?è una aumento crescente di domanda sociale. L?autorganizzazione dei cittadini può dare quello che lo Stato non può dare: la qualità della consapevolezza della cittadinanza. Sono convinto che è anche così che cresce la democrazia. Sono invece d?accordo con chi ci mette in guardia dal pericolo che le esperienze del Terzo settore vengano usate come grimaldello contro lo stato sociale». Detto oggi, forse sarebbe il difendere il ruolo profetico del Terzo settore. Per Beni invece le priorità per un?azione diffusa di partecipazione sono queste: diritti di cittadinanza, pace, welfare, cultura. Nonviolenza, poi. All?indomani del G8 di Genova, Tom scrive: «Compierebbe un errore fondamentale chi non fosse in grado di cogliere che la nonviolenza è diventata – proprio con Genova – un fattore politico. Sì, politico, mentre prima era certo un grande tema, però più sul terreno culturale ed etico, o sperimentale. Oggi la nonviolenza finalmente entra in gioco: chiede alle istituzioni, alle forze sociali, civiche e politiche di non voltare la testa altrove. O indietro. Qui c?è una modernizzazione della qualità delle relazioni sociali, della cittadinanza, della politica. La nonviolenza come discriminante, si dice. Ma è molto di più. È un insieme di valori, culture e metodi. È l?obiettivo di civiltà. Si in traccia con la democrazia. È l?alternativa più radicale, in questo mondo così violento. Rivoluzionando queste radici si potrà ?any day now? dar vita a istituzioni coerenti con questi valori». Nel 2003 Benetollo chiarisce la differenza tra pacifismo e nonviolenza: due culture che appartengono alla medesima costellazione, ma «la nonviolenza ha un valore in più: è una coerente alternativa di civiltà». L?alternativa, per essere credibile, non può essere fatta di parole, promesse, ideali. «L?alternativa può e deve farsi capacità di governare in modo alternativo. Dobbiamo tutti impararlo molto il fare cambiamento. Il cambiamento non viene da solo; da sola viene la supremazia di chi il potere lo ha già. Il cambiamento è innanzitutto la possibilità di agire, promuovere nuovi soggetti, slanciare in avanti nuove opportunità per il merito. Sapendo che il merito non è neutro: senza l?attenzione al bisogno diventa vettore di egoismo soiale». Nulla di escatologico, nel ragionamento di Benetollo, e nulla di utopico. «è una corsa tutta politica, perché il fattore tempo è politico». Non si tratta più di essere moderati o radicali, i moderati rischiano di essere quelli del Niente-subito e i radicali quelli del Tutto-mai. «Attenzione. Il tempo del cambiamento è ora», scriveva Tom il 2 marzo 2004. Se ne è andato canticchiando Bob Dylan: «Toglietevi dalla nuova strada, se non potete dare una mano, perché i tempi stanno cambiando».


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