Economia

“Riconoscersi”, la parola che manca all’Italia

Una riflessione del professor Stefano Zamagni sul termine chiave dell'edizione 2022 del Festival di Bertinoro: "La società del singolarismo, toglie spazio al riconoscimento, perché sostituisce alle relazioni interpersonali le connessioni: la missione fondamentale del Terzo Settore, se pur in un certo senso controcorrente, è proprio quella di evitare che questo avvenga"

di Stefano Zamagni

Il 14 e il 15 ottobre 2022 si terrà la XXII edizione delle Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile, un’occasione per riflettere e conversare sull’evoluzione del Terzo Settore e dell’Economia Civile in Italia. “Riconoscersi” è il tema scelto per quest’anno e il punto di partenza è proprio la constatazione di quello che già Platone, chiamandolo “thymos”, in greco “riconoscimento”, individuava come il bisogno fondamentale dell’uomo: essere riconosciuto e a sua volta riconoscere, a differenza dell’animale la cui necessità primaria è quella di nutrirsi. Oggi, la società del singolarismo, toglie spazio al riconoscimento, perché sostituisce alle relazioni interpersonali le connessioni: la missione fondamentale del Terzo Settore, se pur in un certo senso controcorrente, è proprio quella di evitare che questo avvenga. Basti pensare al Metaverso: come sarà la realtà delle nuove generazioni tra cinque, dieci anni? Queste implicazioni creeranno occasione di suicidio perché quando una persona esce dal mondo virtuale ed entra nella realtà, si scopre più isolata e sola di prima. (Si veda il recente libro di A. Case e A. Deaton, quest’ultimo premio Nobel dell’economia, Morti per disperazione, Bologna, 2021). Diverso è pensare al volontario che fisicamente si presenta al capezzale di una persona bisognosa, o in carcere: quello è un modo di riconoscere, di realizzare prossimità. Pensare al Terzo Settore come ruota di scorta del mercato e dello Stato, cioè come qualcosa che entra in funzione solo quando gli altri due settori falliscono, è estremamente riduzionista oltre che pericoloso, perché si rischia di relegarlo ad un ruolo marginale se non superfluo. Una volta compresa l’importanza del riconoscimento, l’implicazione pratica è l’abbandono definitivo del modello organizzativo taylorista. È stato il taylorismo, in un tempo in cui ancora non c’erano le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale, a sostituire le connessioni alle relazioni, con l’invenzione della catena di montaggio: nonostante la vicinanza, non è possibile guardarsi, né parlarsi, perché è fondamentale restare concentrati sulla propria mansione.

Questo modello organizzativo, del cui successo sul piano economico-finanziario sono tutti a conoscenza, è stato poi trasferito ad altri ambiti, quali la scuola e gli ospedali. In quest’ultima realtà, si presta attenzione alla malattia, e non anche all’ammalato, così come nella scuola l’obiettivo è quello di trasmettere conoscenze, le cosiddette “cognitive skills” e non anche quello di formare il carattere dello studente, le sue “character skills”. Eppure, oggi più ancora che nel passato, sono le abilità del carattere che fanno aggio sulle abilità cognitive, in tutte le organizzazioni produttive. Capiamo allora perché il riconoscersi sia così importante per immettere il sistema-paese su un sentiero di sviluppo umano integrale.

Il lavoro umano possiede due dimensioni; acquisitiva l’una, espressiva l’altra. Con il lavoro, la persona acquisisce il potere d’acquisto con cui provvede alle proprie necessità. A tale dimensione corrisponde la nozione di lavoro giusto. La dimensione espressiva dice invece del fatto che attraverso il lavoro, la persona esprime la propria identità e realizza il proprio potenziale di vita. A tale dimensione corrisponde la nozione di lavoro decente. La novità di questo nostro tempo è che il lavoro può essere giusto, ma non decente: ebbene, è solamente il Terzo Settore ad insistere su tale distinzione fondamentale, proprio perché quelle del Terzo Settore sono Organizzazioni a Movente Ideale (OMI).

Un’ultima annotazione per comprendere la centralità del tema del riconoscimento. Si tratta della metamorfosi dell’individualismo nel singolarismo. Per fare memoria. L’individualismo è la posizione cultural-filosofica che si afferma dapprima in Europa e poi altrove a partire dal secolo dei lumi (il Settecento). L’idea-base è che è l’individuo che va posto al centro della realtà sociale, ma un individuo che è parte di una qualche comunità (famiglia, associazione, chiesa, etc.). Si parla, infatti, di individualismo dell’appartenenza. Il singolarismo, invece – che inizia ad affermarsi nell’ultimo quarantennio negli USA – è la posizione di chi ritiene che l’identità del singolo è nell’essere diverso da tutti gli altri. Siamo agli antipodi dell’individuo, la cui identità sta nell’essere simile a tutti gli altri. Nel singolarismo, io sono il complesso dei miei desideri e delle mie emozioni che mi identificano. Non è difficile cogliere l’insostenibilità di una società di singoli. Mi limito solo a ricordare che è il singolarismo all’origine, per un verso, della meritocrazia e, per l’altro verso, della crisi della democrazia liberale (Proviamo a chiederci di cosa sono figli il populismo e il sovranismo!).

Si può a questo punto capire quale ha da essere la missione aggiuntiva del Terzo Settore, il quale deve bensì continuare sulla via che da decenni va battendo con esemplare successo. Oggi deve alzare la sua capacità di sguardo sulla realtà per contrastare l’avanzata del singolarismo e la sua più devastante conseguenza. Si tratta di questo. Due sono le forme che il “thymos” platonico può assumere: la megalothimia (il bisogno di essere riconosciuti come superiori agli altri) e la isothimia (il bisogno di essere riconosciuti come eguali agli altri). Nelle nostre società, è la megalothimia che sta prevalendo e ne vediamo le conseguenze. Questo, dunque, ha da essere l’orizzonte allargato del nostro Terzo Settore, la cui vocazione è bene descritta dalla parabola del seminatore. Un giovane entrò in un negozio gestito da un angelo. Chiese cosa si vendesse in quel posto e la risposta fu che vi si poteva trovare di tutto e cose che non potevano essere comperate altrove. Allora il giovane chiese di poter acquistare la fine delle guerre, la fraternità universale, l’amore in famiglia e altro ancora. “Scusa giovane – gli disse il venditore – qui non si vendono frutti, ma soltanto semi!”.


Nella foto: in primio piano il professor Stefano Zamagni, alla sua sx il direttore di Aiccon Paolo Venturi e il professor Stefano Micelli

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