Conflitti

Riconoscere l’annessione della Crimea alla Russia? L’eclissi del diritto internazionale

Accettare formalmente la modifica di un confine di Stato attraverso la forza significherebbe scardinare l'ordine su cui sono basate le normative globali. Difficile pensare che il riconoscimento americano della sovranità russa della Crimea non possa avere un impatto anche sugli altri conflitti congelati dello spazio post-sovietico

di Paolo Bergamaschi

Di questi tempi chi invoca il diritto internazionale e sostiene le istituzioni sovranazionali che lo propugnano non se la passa bene. Siamo arrivati, addirittura, al punto che non solo le grandi potenze, e questo era previsto, ma anche una fetta del fronte pacifista considera l’affermazione del diritto internazionale come un intralcio se non un ostacolo alla soluzione dei conflitti in corso e delle controversie fra Stati.

Lo scorso 24 aprile nell’indifferenza generale si è celebrata la Giornata internazionale del multilateralismo e della diplomazia per la pace. La ricorrenza è stata istituita qualche anno fa dalle Nazioni Unite per ribadire l’importanza della cooperazione internazionale e della risoluzione pacifica dei conflitti. «Questo giorno», secondo il Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, «mette in luce una verità fondamentale: nessun Paese può risolvere da solo le sfide di oggi. Il dialogo, la diplomazia e le soluzioni multilaterali sono la strada più sicura per un mondo pacifico e giusto». Unica, fra gli attori globali, a fare eco a queste parole è stata Kaja Kallas, l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell’Ue. «L’Unione europea ha sempre sostenuto e continuerà a sostenere la Carta delle Nazioni Unite e i suoi principi fondamentali: sovranità, uguaglianza degli Stati membri, integrità territoriale, indipendenza politica e autodeterminazione. Non si tratta di ideali astratti, ma del fondamento della pace e della sicurezza internazionale» si legge nel suo comunicato stampa pubblicato per l’occasione.

Nulla di nuovo. Il rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite e la promozione di un sistema internazionale fondato sulla cooperazione multilaterale rafforzata e il buon governo mondiale, d’altronde, sono espressamente citati nel Trattato di Lisbona tra i cardini su cui poggia l’azione esterna dell’Unione Europea. Spesso la pratica, tuttavia, ci insegna che in diplomazia un conto sono i principi e un altro gli atti concreti. Occorrono soluzioni creative per arrivare a delicati compromessi che da una parte individuino una via di uscita da un conflitto, salvaguardando, nel contempo, le norme consolidate che regolano le relazioni internazionali. Il piano di pace proposto da Donald Trump per la crisi ucraina ha suscitato reazioni opposte.

Un punto, in particolare, ha provocato il disappunto del governo di Kiev e dei leader europei: il riconoscimento “de jure” dell’annessione russa della Crimea da parte degli Usa. Accettare formalmente la modifica di un confine di Stato attraverso la forza significherebbe scardinare l’ordine su cui è basato il diritto internazionale con tutte le conseguenze del caso. Già oggi la Russia controlla, più o meno direttamente, una regione della Moldavia, la Transnistria, e due pezzi di Georgia, Abkhazia e Ossezia meridionale. Si tratta, però, di un controllo “de facto”, cioè mascherato da Mosca e subìto o tollerato dai due paesi in questione che non intendono, giustamente, rinunciare a quella parte del proprio territorio sottratta con la violenza. Difficile pensare che il riconoscimento americano della sovranità russa della Crimea non possa avere un impatto anche sugli altri conflitti congelati dello spazio post-sovietico.

La diplomazia europea è perfettamente consapevole che per concludere il conflitto ucraino occorrono dolorose concessioni territoriali ma non è, giustamente, disposta a legittimare l’uso della forza. Non fosse che già nel 2019, durante il primo mandato, Donald Trump ha riconosciuto l’annessione unilaterale da parte di Israele delle Alture del Golan, che cadono in territorio siriano, creando, così, un pericoloso precedente. È risaputo che il presidente americano, da spregiudicato uomo d’affari, è allergico alle regole così come lo è il suo inviato speciale Steve Witkoff, l’ex immobiliarista che sta negoziando il piano di pace con Putin. Per Trump e Witkoff, probabilmente, “de jure” o “de facto” sono terminologie inutili; non così per Volodymyr Zelensky e per Kaja Kallas anche se su di loro piovono le critiche di quel pacifismo ideologico nostrano che, in linea con la narrativa del Cremlino, li addita come il principale ostacolo alla risoluzione del conflitto ribaltando le parti. Senza considerare che poi, una volta violato il principio, toccherà a Trump passare all’incasso con il beneplacito di Putin. Groenlandia, Panama, Suez? L’annessione del Canada sembra, per il momento, scongiurata…

(AP Photo) Associated Press/LaPresseSevastopol, Crimea, Tuesday, March 18, 2025

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