Salute

Ricerca e Sla: la sfida dei trials clinici

Si è tenuto al Centro Clinico NeMO di Milano un workshop con gli esperti sulla Sclerosi laterale amiotrofica, per formare alle nuove sfide della ricerca clinica, l'incontro era patrocinato dall'Università degli Studi di Milano e da Aisla. Anche per la Sla oggi c'è un numero crescente di studi clinici farmacologici. I temi principali che caratterizzano la complessità delle sperimentazioni per la malattia sono legati alla sua eterogeneità clinica e genetica, così come alla necessità di tempo perché il motoneurone possa mettere in atto meccanismi di recupero grazie a potenziali molecole terapeutiche

di Redazione

Grazie al workshop Trials in ALS. Criticalities & Strengths, che ha visto sul tavolo alcuni tra i maggiori esperti italiani di ricerca sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica, nella sede milanese del Centro Clinico NeMO, mercoledì 16 novembre si è tenuta una giornata di studio sulla ricerca clinica per la Sla. L’incontro che aveva l’obiettivo di continuare a trasferire competenze per una corretta ed efficace conduzione di una sperimentazione clinica, alla luce delle sfide a cui è chiamata la comunità scientifica oggi, per una patologia per la quale ancora non vi è cura, ha avuto il patrocinio dell’Università degli Studi di Milano e di Aisla onlus.

A partire da una overview sui trial clinici negli ultimi cinque anni, condotta da Vincenzo Silani, già professore dell’Università degli Studi di Milano e direttore del Dipartimento di Neuroscienze di Auxologico Irccs; il dibattito si è focalizzato sugli studi oggi in corso, con Federica Cerri, referente Area Sla di NeMO Milano; per continuare con l’approfondimento sull’efficacia dei criteri per il disegno e la conduzione di uno studio clinico, stimolato da Giuseppe Lauria, Ordinario di Neurologia dell’Università di Milano e direttore scientifico di Fondazione Irccs, Istituto Neurologico “Carlo Besta”; per concludere, infine, con l’analisi del trial farmacologico in atto sulla molecola Tofersen che coinvolge chi ha una mutazione del gene SOD1, guidata da Mario Sabatelli, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, Direttore Clinico del Centro NeMO Roma, area adulti e presidente della Commissione Medico-Scientifica di Aisla onlus.
A coordinare i lavori Valeria Sansone, direttore clinico scientifico del Centro NeMO di Milano e professore ordinario dell’Università degli Studi di Milano, che sottolinea come si possa traslare l’esperienza di altre patologie neuromuscolari, per meglio approcciare malattie eterogenee, complesse e progressive come la Sla. Perché in un momento storico in cui vi sono risultati molto significativi che stanno modificando la storia naturale di alcune di queste patologie, anche per la Sla inizia ad esservi un numero crescente di studi clinici farmacologici E i temi principali che caratterizzano la complessità delle sperimentazioni per questa malattia sono legati in particolare alla sua eterogeneità clinica e genetica, così come alla necessità di tempo perché il motoneurone possa mettere in atto meccanismi di recupero grazie a potenziali molecole terapeutiche.

Ed è proprio questa complessità che ha condotto le linee di riflessione del workshop. Al centro – sottolinea una nota -, il tema della definizione dei criteri di inclusione nei trials clinici, che deve tenere conto dell’estrema variabilità non solo clinica ma anche biologica della malattia, aspetto quest’ultimo che la ricerca deve ancora approfondire, per ottimizzare la caratterizzazione della patologia e favorire trattamenti sempre più personalizzati.
Ancora, vi è il tema dell’urgenza delle scale di valutazione funzionale che vengono utilizzate come indicatori di efficacia degli studi clinici. La necessità, infatti, è quella comune anche ad altre patologie croniche dell’adulto di avere misure di valutazione che colgano anche aspetti di miglioramento evidenti sul piano clinico, ma che non determinano modifiche di punteggi delle scale eventualmente utilizzate e, come tali, che rischiano di leggere risposte terapeutiche ritenute apparentemente inefficaci.

Inoltre, per rendere più efficace la ricerca è fondamentale valutare l’impatto della presa in carico multidisciplinare sulla storia naturale della malattia, così come aggiornare, condividere e uniformare gli standard di cura, che aiutano a migliorare la significatività dei risultati degli studi farmacologici.
E ancora, promuovere l’analisi genetica, che deve essere messa a disposizione di ogni paziente con la possibilità di accedere al risultato nel più breve tempo possibile. L’approfondimento genetico diventa fondamentale non solo alla luce dello studio clinico in corso sul farmaco Tofersen per coloro che hanno la mutazione nel gene SOD1, ma crea le condizioni per definire studi sempre più omogenei, fondati su dati clinici e biologici solidi.

Domande e risposte, dunque, che sono espressione delle sfide a cui è chiamata la comunità scientifica oggi. Un messaggio forte è arrivato dai lavori del workshop e che fa sintesi dei temi emersi: l’importanza di continuare a lavorare in rete per far fronte alla complessità della malattia, dando valore alla continuità tra ricerca e cura e ribadendo l’importanza della presa in carico multidisciplinare che deve essere garantita a ciascuno.

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