L'omicidio di Paderno Dugnano

Riccardo e i nostri figli, condannati alla felicità

Un ragazzo con una famiglia normale: gli inquirenti, non solo i vicini, raccontano così il contesto in cui è maturato il triplice omicidio da parte di un 17enne. «Questo ci fa paura, perché sentiamo che può capitare a ciascuno di noi», spiega la psicoterapeuta Virginia Suigo. E racconta di quanta fatica facciamo oggi come genitori a reggere l'infelicità dei figli, vivendolo come un nostro fallimento

di Sara De Carli

Normalità. Nessun segnale di malessere, nessun abuso di sostanze, nessuna avvisaglia di una situazione patologica. Solo tre parole, anch’esse piuttosto normali, si stagliano sullo sfondo: un certo malessere, un senso di estraneità sia rispetto alla famiglia sia rispetto al mondo, la solitudine. La strage di Paderno Dugnano – dove nella notte fra sabato e domenica un diciassettenne ha ucciso il fratello di 12 anni, la madre e il padre – ci lascia senza parole proprio nella sua dimensione di “normalità”, di una famiglia simile a tutte le altre. «Da un punto di vista giudiziario non abbiamo un movente tecnicamente inteso», ha detto in conferenza stampa la procuratrice facente funzione dei minori Sabrina Ditaranto. Nel racconto di una famiglia normale, così, si rispecchiano le nostre paure e le nostre angosce. Virginia Suigo, psicologa psicoterapeuta del Minotauro, ha scritto il libro: Figli violenti (2021) e coordina l’équipe degli psicologi del Minotauro che collaborano con i Servizi della Giustizia minorile della Lombardia.

Dottoressa, da dove possiamo partire per fare qualche riflessione utile, davanti a una vicenda così sconvolgente, soprattutto per chiunque sia genitore?

In una situazione tanto estrema, un primo punto da evitare è la ricerca, per certi versi comprensibile, di cause eccezionali ed esterne come l’abuso di sostanze o la psicopatologia. Nel caso specifico, di cui al momento sappiamo ancora troppo poco, potrebbero anche esserci ma in generale la ricerca di queste spiegazioni serve soprattutto ad allontanare il pensiero che quel che è successo potrebbe capitare anche a me. È più tranquillizzante dire “c’era una malattia, c’era di mezzo la droga”, perché allontana dalla mia situazione. Gli adolescenti invece sono in grado di compiere gesti estremi e non è mai utile, come prima cosa, frapporre una distanza. Lo dico perché culturalmente invece, come genitori, lo facciamo spessissimo e a tutti i livelli, anche davanti a gesti di violenza più piccoli che accadono in classe: tendenzialmente la prima reazione del genitore è dire “non può essere stato mio figlio, ci metto la mano su fuoco”. Non è così, nessun genitore in questo senso può mai mettere la mano sul fuoco per il proprio figlio. Un’altra riflessione è quella di non considerare il conflitto, la rabbia, la violenza, l’infelicità, la solitudine come dei tabù. Come genitori ci fa paura che i nostri figli possano essere tristi, infelici, arrabbiati o ingrati e quindi spesso non permettiamo a questi argomenti di venire a galla: questo però favorisce cortocircuiti importanti.

Il conflitto, la rabbia, la violenza, l’infelicità, la solitudine non possono essere tabù. Come genitori ci fa paura che i nostri figli possano essere tristi, infelici, arrabbiati o ingrati, ma questo favorisce cortocircuiti

Virginia Suigo

Che siamo immersi in una società aggressiva e violenta è evidente. C’è una crescente violenza da parte dei figli sui genitori, come ha descritto nel suo libro?

Quello della violenza parentale è un fenomeno in aumento. È una violenza psicologica ed emotiva, che non sfocia in queste situazioni, ma che è in aumento proprio dentro famiglie insospettabili, con ragazzi che vanno bene a scuola, che fanno attività nel tempo extra scolastico, adorati dalle famiglie degli amici perché si comportano come piccoli lord: a casa invece riversano la loro rabbia sui genitori.

Ma com’è possibile che in un contesto normale si arrivi ad un dramma di questa portata?

È possibile. Ovviamente non posso dire nulla sul caso specifico, ma gli adolescenti compiono gesti estremi quando sentono che il loro percorso di crescita è bloccato, quando entrano nello stato mentale del “mors tua vita mea”. Bisognerà capire che cosa può aver portato questo ragazzo a pensare che l’unico modo per poter vivere fosse quello di uccidere tutti i membri della sua famiglia, di rimanere l’unico.

Gli adolescenti compiono gesti estremi quando sentono che il loro percorso di crescita è bloccato, quando entrano nello stato mentale del “mors tua vita mea”

Sbagliamo noi genitori a non dare sufficientemente spazio e parola alle emozioni negative dei nostri figli?

Attenzione, dobbiamo evitare anche la tentazione di spiegare le cose spostando l’attribuzione della colpa sui genitori. Oggi è difficile essere figli adolescenti, ma certamente è difficile anche essere genitori di figli adolescenti. È una situazione difficile perché viviamo nel tabù del conflitto, in una famiglia che è sempre più chiusa e sola, che non ha appoggi all’esterno, dove i genitori hanno in toto e da soli la responsabilità dei figli. Oggi rischiamo di creare aspettative molto elevate dei genitori nei confronti dei figli – e di questo dopo il Covid abbiamo parlato spessissimo – ma anche dei genitori nei confronti di stessi, cosa di cui forse abbiamo parlato ancora troppo poco. Sul primo punto, più che di aspettative nei confronti della scuola o dei voti, oggi pesa quella “condanna alla felicità” di cui parla Charmet. Facciamoci caso, la prima cosa che chiediamo ai nostri figli quando tornano a casa è “è andata bene? ti sei divertito? è stato bello?”, come se quella fosse la regola. Ma le esperienze, il tempo fuori casa, le emozioni vissute non necessariamente sono sempre tutte belle. Abbiamo bisogno che i nostri figli siano sempre contenti e invece non devono sempre esserlo: non è normale. Ma questo non glielo diciamo mai.

Quindi come sono queste famiglie normali, in cui nasce la violenza da parte dei figli?

Certo non hanno genitori assenti. Anzi abbiamo genitori molto accudenti, a volte anche molto sacrificali, soprattutto quando i bambini sono piccoli. Nell’infanzia dei figli sono stati genitori meravigliosi, attenti, montessoriani, tutto quello che c’era da fare lo hanno fatto. E così si arriva impreparati all’adolescenza, in cui il tuo bimbo non ha alcuna voglia di giocare con te, vuole esser ingrato e vuole mandare tutto al diavolo. Solitamente si tratta solo di una fase temporanea, ma i genitori fanno fatica a reggerla perché lo vivono come un proprio fallimento. Il fatto è che i genitori di oggi hanno investito moltissimo sui figli e sul proprio essere genitore, quindi “se non sono più genitore non ho più niente”. Il passaggio da riformulare è che sei sempre genitore, ma in una modalità che va ri-declinata in modo diverso. Il genitore di un adolescente è un tassista: è normale, non capita solo a te. Il genitore deve approfittare del momento del taxi per parlare.

Virginia Suigo, psicoterapeuta del Minotauro

Cosa intende quando dice che siamo genitori anche troppo sacrificali?

I genitori di oggi sono molto presenti, anzi a volte fanno troppo e si sacrificano troppo. Ma chi si sacrifica troppo, poi è difficile che non presenti il conto del suo sacrificio. “Con tutto quello che ho fatto per te”… anche se un figlio non chiede niente. Sono questi i cortocircuiti che si creano in famiglie normalissime, anzi particolarmente prodighe e acculturate. I ragazzi si sentono imbrigliati, sentono il peso delle aspettative che non riescono a soddisfare e non riescono nemmeno a portare all’esterno perché non c’è una rete sociale, non hanno uno zio, un amico di famiglia con cui parlare. Da parte loro i genitori sentono di non avere altro che il loro essere genitori, ma restano legati alla declinazione che la genitorialità ha nell’infanzia. È in questo contesto che nasce la violenza sui genitori.

I genitori di oggi sono presenti, anzi a volte troppo e si sacrificano troppo. Ma chi si sacrifica troppo, poi è difficile che non presenti il conto del suo sacrificio.

Che caratteristiche ha questa violenza nella sua esperienza?

È una violenza sottolie, psicologica, emotiva: la definizione della violenza filoparentale di solito esclude l’omicidio. Per esempio una mamma che non riesce più a lavorare perché riceve 300 messaggi al giorno dal figlio, con insulti e pretese: “Vieni stronza, portami subito la tal cosa”. Quando si arriva alla violenza fisica è quasi sempre perché i genitori cercano di recuperare quella autorevolezza che hanno perso da mesi se non da anni e si impongono: “tu non esci più di casa”. A quel punto il ragazzo per uscire di casa li spintona.

In queste situazioni, che fare?

In generale aiuta a ricucire il fatto di abbassare le aspettative su di sé come genitori, sul proprio ruolo: il dirsi “faccio quello che riesco”. Questo passaggio è importante perché poi aiuta ad abbassare anche le aspettative di cui i ragazzi si sentono caricati. L’altro discorso è riuscire a non pensare che mio figlio sia “un principe”, che è intoccabile, che non può aver fatto nulla di male. Se una mamma al parco mi dice che mio figlio si è comportato male, non nego subito ma per prima cosa provo ad ascoltare cosa mi sta dicendo quella mamma. Lo stesso con i professori a scuola. Piccole cose, ma si parte da qui. Fare i conti un po’ con il fatto che la necessità che i nostri figli siano felici è innanzitutto una necessità nostra, che fa stare bene noi e che attesta il nostro essere bravi genitori ma non è qualcosa che possiamo pretendere nella realtà. Questo significa chiedere ai figli “come stai” e prendersi il tempo per ascoltare davvero la loro risposta.

Riccardo, il diciassettenne di Paderno, pare aver parlato agli inquirenti di un suo malessere, di sentirsi solo ed estraneo…

Bisognerà capire se ne ha parlato con qualcuno o se ha sentito di non poterlo condividere con nessuno… Il senso di estraneità è comune in adolescenza, anzi è fisiologico: bisogna capire come mai non è riuscito a portarlo all’esterno. Sentire di stare male nella propria famiglia, sentirsi un corpo estraneo nella propria famiglia è fisiologico nel percorso di crescita: è una di quelle cose che si cui qualsiasi adolescente dovrebbe poter parlare con genitori o con altri adulti, per trovare la propria strada. Il tema problematico che abbiamo è al contrario più spesso quello di ragazzi che fanno fatica a separarsi dalla famiglia, che diventa un nucleo che non possono tradire a nessun costo. Non si sentono legittimati ad essere altro rispetto ad una famiglia che li avviluppa.

Sentirsi un corpo estraneo nella propria famiglia è fisiologico. Al contrario più spesso abbiamo ragazzi che fanno fatica ad essere altro rispetto ad una famiglia che li avviluppa

Però spesso i figli adolescenti non parlano.

I ragazzi parlano quando sentono che di là c’è un adulto che regge quello che hanno da dire: se pensano di ferire i genitori, di farli star male, non parlano del loro malessere. È questo che intendo con qualità dell’ascolto: tanti ragazzi oggi non sentono gli adulti e i genitori come interlocutori credibili e autorevoli. Un adulto credibile è uno che non si lascia sconvolgere, qualsiasi cosa gli venga detta. Il fatto che quando le cose si fanno gravi, un adolescente sappia che davanti ha un adulto che non crolla è un enorme fattore di protezione perché allora un figlio sa che di tutto si può parlare, per quanto sia grave l’argomento o lo sbaglio che ha fatto. Avere famiglie amiche è un altro fattore di protezione, perché quando con i miei genitori proprio non riesco a parlare, avere uno zio, un amico, un insegnante, un allenatore, qualcuno che media è prezioso. La chiusura della famiglia su se stessa, al contrario, è un altro fattore di rischio.

Foto di Marco Ottico/Lapresse

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