E’ primavera, tempo di grandi pulizie e cambio armadi. Anche nella cooperazione sociale che segnala un interesse bipartisan (prima Lega e oggi anche Conf) per modificare, a vent’anni dall’approvazione, la propria legge di riferimento, l’ormai storica 381 che nel frattempo ha fatto scuola in molti altri paesi europei (pure fra quegli snob dei francesi). Ma è davvero necessario? Questa scelta tradisce una chiara impostazione strategica: adattare la propria nicchia alle rinnovate esigenze di mercato (come se già tutti i settori “core” fossero stati esplorati) e tracciare un confine netto con altri modelli di impresa sociale. Un restyling della 381 consentirebbe, di fatto, di sbarazzarsi della presenza (in realtà fin qui assai poco ingombrante) dell’altra normativa che sdogana le imprese sociali in forma non cooperativa e addirittura con abito da società di capitali. Peccato. Era meglio correre il rischio di avere qualche competitor in più (del resto anche fra le stesse coop sociali la concorrenza non manca) in cambio di un settore più consistente in termini quantitativi e soprattutto più variegato al suo interno. Uno strano comportamento per organizzazioni che sono nate e si autorappresentano come fattore che garantisce la “biodiversità” delle imprese. Esigenza più che condivisibile ma che dovrebbe valere anche al proprio interno. Infine direi che ci vuole davvero coraggio ad affidarsi a questa classe politica il compito di emendare una legge che, pur con tutti i suoi limiti, ha rappresentato uno dei pochi casi in cui la norma è stata realmente a servizio dello sviluppo economico e sociale. In questo senso i vent’anni si sentono, eccome.
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