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Riarmo, Zamagni: «La politica non è più libera. Comanda l’industria bellica»

Per il professore emerito di Economia Civile all’Università di Bologna non ci può essere pace in un mondo in cui proliferano le armi. «Puntare sull'industria bellica è un errore ed è un residuo del passato, che produce malessere». E propone il delisting e la tassazione dei sovraprofitti per le società che producono armi

di Alessio Nisi

imprese

“Se in un racconto spunta una pistola, è necessario che a un certo punto della narrazione venga fatta sparare”. Corsa al riarmo e nuovi investimenti che la narrazione predominante considera premessa di crescita e sviluppo in Europa. Dalle parole dello scrittore e drammaturgo Anton Čechov e da una visione ottocentesca del rapporto tra Stati, parte l’analisi di Stefano Zamagni, professore emerito di Economia Civile all’Università di Bologna, che punta il dito prima di tutto sulle società produttrici di armi e sui politici contemporanei, «non più liberi», le cui scelte sono «condizionate dagli interessi dell’industria bellica». E sull’idea che aumentare le spese per “la difesa comune” porti benefici all’economia.

Stefano Zamagni, professore emerito di Economia Civile all’Università di Bologna

«È falso». Questa scelta, per l’economista, «aumenta solo i profitti di quelle imprese e di quelle che gli sono vicino. A livello collettivo è una partita a somma negativa, che «comporta una perdita di benessere. È evidente che per comprare le armi che sono state prodotte bisogna sottrarre risorse a scuola, sanità e assistenza».

La difesa comune? Noi europei stiamo sbagliando tutto. Puntare sull’industria bellica è un residuo del passato, che produce malessere. Dovremmo investire invece in tecnologia e alta scientificità

Stefano Zamagni – professore emerito di Economia Civile all’Università di Bologna

Non si può avere la pace in un mondo di armi

«Non si riesce a capire ancora o forse non si vuol capire che oggi è l’industria delle arbitri che guida la danza». Senza questa consapevolezza, aggiunge, «è inutile pensare a negoziati o alla diplomazia. Il punto è non si può avere la pace in un mondo di armi», ribadisce l’economista, come aveva già fatto nei giorni scorsi ad Assisi, nel corso di Religione e disarmo nucleare, incontro organizzato dal Comitato per una civiltà dell’amore e moderato dal presidente Giuseppe Rotunno, ingegnere nucleare e francescano secolare.

2mila miliardi in armamenti. In quell’occasione l’economista ha citato i dati dell‘Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma – Sipri. “Nel 2024 i governi del mondo hanno speso 2mila miliardi in armamenti – ha ricordato – l’Italia 28,75 miliardi, 1,5% del Pil”. «Armi», prosegue Zamagni, «di cui dobbiamo bloccare la produzione». Su questo, aggiunge, «bisogna prendere provvedimenti».

Quotazione e tassazione dei sovraprofitti

Ecco, si tratta di provvedimenti vanno nella direzione esattamente contraria alla situazione che si è venuta a verificare dal 2010 in poi, con la privatizzazione delle società produttrici. Il primo passo? Impedire a queste aziende «di essere quotate in borsa». Le imprese belliche, chiarisce, sono le compagnie «con i più alti indici di profittabilità. Per questo, «oltre a toglierle dalla quotazione», il cosiddetto delisting, occorre «introdurre dei sistemi di tassazione dei sovraprofitti: non si possono fare profitti sulla morte degli altri».

Il fondo comune per la difesa e i bilanci degli Stati

Parole che pesano, in un quadro in cui Londra e Bruxelles stanno pensando a un fondo comune per la spesa legata ad armamenti e sicurezza europea. In cui, tra gli scenari, in Germania si parla anche di riconversione dell’industria pesante in industria degli armamenti. Mentre in Francia si punta sulla deterrenza nucleare.

Di certo, l’idea è ormai chiara: unire le forze finanziarie, aumentare in misura consistente la spesa per la difesa prestando denaro a interessi molto bassi grazie a un fondo collettivo, e cercare di limitare l’impatto sui bilanci statali. L’altra faccia della medaglia? L’aumento delle tasse e i tagli al welfare

In apertura foto di Specna Arms per Unsplash

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