Formazione
Riace: perché questo è il momento di “esserci”
C'è un elemento utopico, visionario, nel "modello Riace", inevitabilmente “eccessivo” rispetto a qualsiasi impianto normativo esistente. A Riace abbiamo sperimentato una straordinaria “utopia creativa”. È il momento di esserci, di cercare gli strumenti e i modi affinché questo modello possa resistere e rilanciarsi
A Mimmo Lucano non piace molto sentir parlare di “modello Riace”. Non piace perché, secondo il suo modo di vedere e di vivere l’esperienza di accoglienza che lo ha reso noto in tutto il mondo, più che di un modello si dovrebbe trattare di “normalità”: «Perché è normale aiutare una persona quando ha bisogno di aiuto». Così come è normale, o dovrebbe essere normale, condividere spazi inutilizzati, creare occasioni di lavoro e di integrazione per borghi abbandonati e dimenticati. Per Mimmo, e per chi ha condiviso con lui il lavoro di questi anni, tutto ciò è stato ed è semplicemente “normale”: ed è proprio così che nasce il “modello Riace”. Poiché ciò che rende speciale questa esperienza è appunto il suo essere scaturita da iniziativa spontanea, non prevista e pre-determinata da alcun modello normativo o “progetto”. Chi conosce Mimmo lo sa. Ed è proprio questo che rende difficile esportare, imitare, replicare il suo “modello”. Forse impossibile. E anche qui sta il suo fascino e la sua bellezza.
Quando Mimmo Lucano, senza istituzioni pubbliche, sostegni normativi, esempi da seguire, immaginava l’idea dell’accoglienza diffusa, di una nuova “Magna Graecia” come lui ama dire, proprio a partire da quei mari che con i Bronzi avevano lasciato uno dei più monumentali segni della grandezza di una civiltà costruita sul senso sacro dell’ospitalità, nessuno aveva ancora pensato che ciò potesse diventare modello. Questo passaggio va ricordato, a chi “rimprovera” a Lucano di non aver saputo “strutturare” meglio la sua utopia, per resistere alle inevitabili resistenze e contrarietà. Credo che in ciò vi sia un errore di fondo, che rende impossibile una comprensione vera del fenomeno. Se “modello Riace” è stato, infatti, ciò si è dovuto proprio all’elemento utopico, visionario, e quindi inevitabilmente “eccessivo” rispetto a qualsiasi impianto normativo esistente, che ha dato vita al tutto. Dopo sono venuti gli SPRAR e a una Legge Regionale presa a modello in diverse regioni di Italia, che intendeva fare dell’esempio di Riace un modello replicabile. Una legge rimasta purtroppo lettera morta, mentre però grazie alla nascita degli SPRAR tanti piccoli comuni calabresi seguivano l’esempio dell’accoglienza diffusa. Dall’utopia, dalla “visione”, alla norma, quindi, e non il contrario: come sempre è stato nella storia. E però, come sempre è stato nella storia, nessuna “norma” potrà mai veramente contenere e realizzare in toto il suo “modello”, la sua “utopia”. E quindi Riace, come addirittura le relazioni prefettizie hanno riconosciuto, ha saputo utilizzare il buono delle normative e dei sostegni pubblici, senza però esaurire la sua carica utopica: necessariamente “irregolare”, ma mai illegittima.
Ad un certo punto, però, qualcosa si è rotto. Il legislatore non ha voluto più seguire questa via di innovazione, assecondarne la straordinaria originalità, sostenerne i risultati più belli, che il mondo intero ormai imparava a riconoscere e ammirare. Ed è qui allora che iniziano le difficoltà, le restrizioni, le incomprensioni. Qualcuno ha cominciato a temere la carica utopica e l’efficacia del modello, a non tollerare più l’intraprendenza di un Sindaco che, in piena crisi di finanziamenti negati e di inchieste in corso, offriva la disponibilità ad ospitare nel suo borgo i profughi della nave Diciotti! Di un luogo che diventava per tutto il modo simbolo di quell’utopia sociale di cui da troppo tempo, la nostra storia, aveva dimenticato la bellezza, i colori, il sapore.
Ma oggi è un giorno triste per Riace. Nubi, incertezze, paure si addensano all’orizzonte e rendono tutto più confuso e precario. La straordinaria esperienza di accoglienza e integrazione che ha visto qui vivere e operare giovani e bambini di decine di nazionalità e provenienze diverse, rischia davvero oggi di attraversare la via di un triste e inevitabile declino. Proprio mentre artisti, poeti, professionisti e volontari, provenienti da più parti di Italia, si ritrovano qui, sperimentando una sorta di straordinaria “utopia creativa”: un luogo magico in cui tutto ciò che di bello abbiamo desiderato e tentato per una vita sembra aver trovato il suo spazio. Proprio in questo momento, apparentemente così “felice”, Riace rischia di svuotarsi lentamente. È il momento di esserci, di cercare gli strumenti e i modi affinché questo modello possa resistere e rilanciarsi, ma è davvero difficile al momento individuare una via.
Riace, 3 novembre 2018
L'autore è un docente che conosce bene e da vicino l'esperienza di Riace e sta lavorando per mantenere in vita il modello
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