Famiglia

Revelli: «La verità? Da questa pandemia ne usciremo solo pagandone ciascuno il prezzo»

Commentando il disagio giovanile e la violenza famigliare che in queste settimane stanno facendo registrare picchi preoccupanti, il sociologo spiega che «non c'è una narrazione che può attenuare questa dimensione tragica dell'esistenza. Tragica significa che è una via in cui nessuna delle soluzioni corrisponde a un bene. È sempre un male minore»

di Lorenzo Maria Alvaro

Nelle ultime settimane sono aumentati aumentati vertiginosamente i casi di cronaca che raccontano di una violenza domestica, spesso insensata. Una situazione drammatica delle famiglie che da un anno a causa del Covid, vivono grandi disagi. A pagarne le conseguenzee spesso i più giovani. Tra i ragazzi peraltro è stato rilevato un aumento di comportamenti problematici, intercettato dal'80% dei medici pediatri che si concretizzano nella maggior parte dei con l’aumento dell’aggressività e l'acuirsi dei disturbi psicosomatici. Ma in grande aumento sono anche gli atti autolesionistici e suicidari. Secondo gli esperti di neuropsichiatria dell’ospedale Bambino Gesù di Roma l'aumento del 30% di questo tipo di ricoveri è totalmente imputabile al Covid e alle realtive chiusura scolastiche e sportive. «Indubbiamente il malessere è un malessere reale, è un malessere grave ed è un malessere che tocca le radici della relazionalità. Che tocca l'aspetto fondamentale della nostra esistenza. Ma purtroppo dobbiamo farci i conti», spiega il sociologo Marco Revelli. L'intervista.


In queste settimane la cronaca è sempre più fitta di avvenimenti tragici in ambito familiare. In particolare i protagonisti sono i giovani. Può essere dovuto alla chiusura della scuola e alla mancanza di socialità?
Credo che sia sbagliato isolare il problema della scuola dal resto che le sta intorno. C'è il rischio di cadere in forme di retorica per cui tutti quelli che hanno scarificato la scuola in questi decenni oggi si scoprono anti didattica a distanza a prescindere. Probabilmente per nascondere la propria coda di paglia. Certamente esiste un problema, che va oltre il contagio o il numero di contagi che si contraggono a scuola, e riguarda il circuito che questo grande polmone di condensazione di essere umani mette in movimento, sia per quanto riguarda i trasporti che per quello che riguarda le famiglie.

Però certamente la scuola è stata più colpita di altre realtà in termini di chiusure…
Indubbiamente il malessere è un malessere reale, è un malessere grave ed è un malessere che tocca le radici della relazionalità. Che tocca l'aspetto fondamentale della nostra esistenza, che non può essere autoreferenziale. Il miglior pensiero moderno, penso a Lévinas, Martin Buber, Emmanuel Mounier, tutti hanno posto l'accento sulla relazione. Io sono tu. L'io segregato in se stesso è un io vuoto. E quindi l'interruzione seppur parziale del sistema delle relazioni rimbalza immediatamente sulla dimensione esistenziale. E genera, soprattutto se si protrae nel tempo, un disagio che si esprimere nell'aggressività, nella irritabilità e nella insopportazione dei pochi altri con cui si è costretti a dividere lo spazio, nel momento in cui il sistema delle relazioni si riduce ad un punto solo, l'appartamento o l'alloggio. Questa è la chiave per interpretare quello che sta avvenendo. Puramente e semplicemente l'assenza di relazione.

C'è poi la paura…
Sì, il tassello ulteriore e peggiore sta in ciò che il virus associa alle relazione. Il carattere perverso del virus è che trasforma l'altro in una minaccia e un pericolo, da un punto di vista biologico. L'avvicinarsi dell'altro viene percepito come l'avvicinarsi di una entità pericolosa che può innescare meccanismi mortali al nostro interno. È uno stravolgimento totale.

E incredibilmente uno stravolgimento cui ci siamo abituati molto in fretta…
Potremmo dire che il virus trasforma in fattore biologico quello che alcune pessime ideologie e inculture politiche avevano in qualche modo messo in circolazione prima della pandemia. Il vedere gli altri, soprattutto se vengono da lontano, come minaccia. Questo stravolgimento della relazione con l'altro che lo trasformava in un invasore o un nemico. Penso ai barconi, agli immigrati, ai deboli della terra che varcavano un confine. Il virus da ideologico ha reso questo meccanismo biologico. E lo paghiamo perché questi stati d'animo si sedimentano dentro di noi e diventano una seconda natura.

Possibile che avvenga una mutazione antropologica così radicale?
Viviamo il terribile paradosso che per difendere la nostra esistenza naturale e biologica siamo costretti a modificare la nostra natura umana. È indispensabile mettere in atto le misure di contenimento del contagio. Sono indispensabili i lockdown e i distanziamenti. Sono stati chiamati confinamenti rievocando questa parola inquietante. Sono indispensabili le chiusure, per quanto siano costose in termine economici per quanto riguarda alcuni settori commerciali e psicologici o relazioni per quanto riguarda le scuole.

Quindi non c'è alternativa…
Lo so benissimo che è un vulnus la chiusura di una scuola e il confinamento nella propria abitazione degli appartenenti ad una classe. Ma è indispensabile perché il prezzo è altrettanto alto: trasformare l'adolescente in un veicolo di contagio potenzialmente mortale per la propria famiglia, i propri genitori e i propri anziani. Negare questo fatto sarebbe negare la responsabilità individuale nei confronti degli altri. Ma quello che si guadagna in termini di responsabilità verso gli altri si perde in termini di socialità e relazionalità. Dobbiamo metterci in testa che la condizione umana in alcuni momenti è tragica. Non c'è una narrazione che può attenuare questa dimensione tragica dell'esistenza. Tragica significa che è una via in cui nessuna delle soluzioni corrisponde a un bene. È sempre un male minore. Nella condizione tragica, l'eroe tragico è colui che viene posto in una condizione in cui qualunque cosa scelga paga un prezzo altissimo, spesso la vita. I francesi usano l'espressione dilemme cornélien, cornelliano da Pierre Corneille, nella cui opera Le Cid il protagonista, Rodrigo, dovette scegliere tra il vendicare la morte del proprio padre o risparmiare gli affetti più cari della propria amata. Siamo in una situazione cornelliana nella quale non esiste il deux ex machina che con il colpo di bacchetta magica ci risolve il problema. Tutti quelli che blaterano cercando di accreditarsi un argomento piuttosto che un altro per aumentare un consenso, in termini di voti o approvazione, fanno un atto grave perché semplificano una situazione complessa.

Come se ne esce?
Pagandone il prezzo. Ognuno di noi deve valutare il prezzo che è disponibile a pagare e quello che non sarà mai disponibile a pagare. Essere il responsabile del contagio di un famigliare è un prezzo molto alto. Forse per evitarlo si può sacrificare quel diritto alla socialità che nell'adolescenza è fondamentale. Ma a condizione che quella situazione non si prolunghi, perché altrimenti, come stiamo vedendo, la bilancia passa dall'altra parte.

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