Welfare

Revelli: i dati Istat sono clamorosi. È una catastrofe sociale

L'istituto ha divulgato i dati relativi alla povertà in Italia. Numeri allarmanti e drammatici. Per il sociologo Marco Revelli, che in passato aveva presieduto l'Osservatorio sulla povertà della Presidenza del Consiglio, però le cose vanno anche peggio. «La politica è inerte, le uniche luci arrivano dalla collaborazione tra enti locali e non profit»

di Lorenzo Alvaro

La crisi mette in ginocchio l'Italia: vola la disoccupazione, crolla la produzione industriale e aumenta la povertà.

I dati dell'Istat
Lo scorso hanno i “poveri relativi" erano 9 milioni e 563mila pari al 15,8% della popolazione (13,6% nel 2011), 4 milioni e 814mila dei quali in povertà assoluta (i più poveri tra i poveri misurati sulla base di un paniere e servizi essenziali) pari all'8% della popolazione (5,7% nel 2011). La soglia di povertà relativa per una famiglia di due componenti è pari a 990,88 euro (circa 20 euro in meno di quella dell'anno precedente, -2%). La povertà assoluta viene misurata sulla base di una lista di beni e servizi, varata da una commissione di studio nel 2005 insieme con l'istat, per poter svolgere una vita dignitosa.

Questo il quadro rilevato dall'Istat secondo cui il 12,7% delle famiglie è relativamente povero per un totale di 3 milioni e 232mila, il 6,8% delle quali lo è in termini assoluti pari a un milione e 725mila. Tra il 2011 e il 2012 è aumentata sia l'incidenza di povertà relativa (dall'11,1% al 12,7%) che quella di povertà assoluta (dal 5,2% al 6,8%), in tutte e tre le ripartizioni geografiche. Per quanto riguarda la povertà assoluta, sottolinea l'istat, si tratta del livello più alto mai registrato dal 2005, inizio della misurazione della povertà assoluta.

Un quadro che per Marco Revelli, sociologo e storico cuneese è anche peggio di quello che dicono i numeri. «Uno scostamento così grande da un anno con l'altro non si era mai visto. Ci sono scostamenti da terremoto sociale. I dati Istat sono aggregati, mettono insieme indicatori diversi: città e piccoli Comuni, Nord e Sud Italia, che invece hanno tendenze molto diverse tra loro. Per questo se riflettono già così una situazione drammatica la vera fotografia è ancora peggiore».

Cosa renda peggiore la realtà dei numeri? Il capitolo principale è quello delle povertà occulte. «Penso alle famiglie che fino a pochi mesi o un paio di anni fa avevano due redditi impiegatizi e ora ne hanno perso almeno uno: con almeno due figli minori, un mutuo da pagare e qualche credito al consumo, ora sono in crisi, e l’Istat non li vede ancora. E’ la condizione di sempre più persone, con l’aggravante che esse non hanno alla base una ‘cultura di povertà’ che permette loro di far fronte all’improvviso abbassamento del tenore di vita».

Si perchè secondo Revelli «molti poveri da generazioni sanno come arrangiarsi per non sprofondare. I nuovi poveri non hanno né reti sociali né sanno dove andare a cercare i sussidi pubblici, anche perché tutta la cerchia di amici e conoscenti spesso fa parte dello status sociale che avevano prima che cominciassero i problemi. In un certo senso, sono ancora più poveri dei poveri, al nord più che al sud: dove il reddito medio è più alto è maggiore l’impatto della crisi, per esempio a Torino è più difficile che a Napoli».

Tinte fosche che non si diradano neanche parlando di futuro. «Il piano inclinato in cui siamo nell'ultimo anno è diventato quasi verticale. Una picchiata verso il basso incredibile. Soprattutto per quello che riguarda la povertà assoluta, che misurano una povertà che morde nella carne ormai la nostra società. Se poi pensiamo che i numeri sono relativi al 2012 e pesniamo alle performance del Paese nel 2013 c'è da avere paura».

In tutto questo la politica latita. «Oggi i nostri politici disquisiscono di oranghi. Vivono fuori dal mondo» attacca Revelli, «le risposte non arriveranno certo da lì. Anche perchè basterebbe tagliare gli F35 e la follia delle grandi opere e avremmo risolto gran parte del problema. Ma non lo faranno mai, non sta nel loro dna ragionare in questi termini». 

Due le vie maestre per provare ad invertire la rotta per il professore: il reddito minimo garantito e il terzo settore. «In primo luogo si dovrebbe introdurre anche in Italia un reddito minimo garantito. Nella Ue siamo gli unici assieme  a Grecia e Ungheria a non averlo. Poi, ma qui entra in gioco il virtuosismo del non profit e del volontariato e viene meno il ruolo della politica nazionale, si dovrebbe moltiplicare tutte quelle esperienze locali che risultano essere un paracadute per le famiglie in crisi». Questo perchè oggi c'è un unico segnale positivo, spiega in conclusione Revelli, «penso a quelle situazioni dove enti locali e del privato sociale come associazioni, fondazioni bancarie o cooperazione si mettono insieme e prendono misure di sostegno alle persone a rischio».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA