Formazione
Retromarcia del Ministero: niente didattica in presenza per i figli dei key workers
Il Ministero dell’istruzione cambia idea: «sulla possibilità per i figli dei cosiddetti key workers, i lavoratori essenziali, di frequentare in presenza si rendono necessari ulteriori approfondimenti», dice. Resta invece confermata la possibilità di svolgere attività in presenza per i ragazzi con bisogni educativi speciali e con disabilità
Marcia indietro del Ministero dell’Istruzione sui key worker: i loro figli non potranno fare didattica in presenza nelle zone arancioni scuro e in quelle rosse. Lo precisa una nota che il Ministero ha inviato alle scuole alle 19 di domenica 7 marzo (è la nota protocollare 10005 del 7 marzo, allegata in fondo all'articolo).
Funzionari del Ministero dell’Istruzione spiegano a Vita che «sulla possibilità per i figli dei cosiddetti key workers, i lavoratori 'essenziali', di frequentare in presenza si rendono necessari ulteriori approfondimenti». Quando arriveranno questi chiarimenti? Il Ministero preferisce non sbilanciarsi.
La decisione è una doccia fredda per tutte quelle famiglie che da domani mattina si apprestavano a riportare gli alunni in classe. Ma non è del tutto una sorpresa: come avevamo denunciato nell'articolo “A scuola i figli dei key workers: ma nessuno sa chi sono” era impossibile identificare con chiarezza quali fossero le figure che potessero essere definite “essenziali”. Così, in mancanza di chiarezza da parte del Ministero, ogni dirigente scolastico durante il week end aveva stabilito dei criteri propri, con il rischio di generare disparità di trattamento tra una scuola e l’altra. Alcuni avevano deciso che a rientrare in presenza fossero solo i figli dei sanitari direttamente impegnati nel contenimento della pandemia; altri invece avevano esteso la misura anche ai figli del personale impiegato nella grande distribuzione (supermercati) nei trasporti, nella banche, nelle poste. Diverse le richieste di chiarimenti al Ministero da parte di dirigenti e Anci. Qui ad esempio il post di oggi di Laura Galimberti, assessora all'Educazione e Istruzione del Comune di Milano.
Tuttavia, gli sforzi dei dirigenti scolastici di fare chiarezza, e rispondere ai numerosi dubbi proveniente dalle famiglie, sono stati vanificati dalla nota inviata dal Miur proprio domenica, appena 72 ore dopo che lo stesso Ministero avesse scritto, nella nota del 4 marzo (che avevamo anticipato qui) che andava «garantita anche la frequenza scolastica in presenza degli alunni e studenti figli di personale sanitario o di altre categorie di lavoratori, le cui prestazioni siano ritenute indispensabili per la garanzia dei bisogni essenziali della popolazione».
Resta invece confermata la possibilità di svolgere attività in presenza per i ragazzi con bisogni educativi speciali e con disabilità, garantendo comunque il collegamento on line con gli alunni della classe che sono in didattica digitale integrata. Ma a questo punto si riapre comunque con forza anche un'altra questione: garantire l'inclusione ed evitare che questi gruppetti di pochi alunni tutti e solo con una certificazione diventino dei ghetti.
Come spiegava la professoressa Sandra Scicolone, dirigente dell’ANP, Associazione Nazionale Presidi, i dirigenti scolastici, insieme ai docenti delle classi interessate e ai docenti di sostegno, in raccordo con le famiglie, favoriranno la frequenza dell’alunno con disabilità, in coerenza col PEI, coinvolgendo anche, ove possibile e su base volontaria, un gruppo di allievi della classe di riferimento, che potrà variare nella composizione o rimanere immutato, in modo che sia costantemente assicurata quella relazione interpersonale fondamentale per lo sviluppo di un’inclusione effettiva e proficua, concreta e non teorica, nell’interesse degli studenti e delle studentesse.
Photo by Kelly Sikkema on Unsplash
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.